venerdì 1 maggio 2009

Il figlio del mare

Mia mamma era giovane, avra' avuto si e no trenta anni.
Era una creatura solitaria e diafana che d'estate si scollava
dalla spiaggia gremita in cerca di altro.
Era lei che mi ha insegnato ad usare quella vecchia e grande barca
che si remava da dietro, color legno, con le due punte verniciate di rosso.
Aveva un che di vichingo e mi aveva insegnato dei posti che non conoscevo.
Lei remava vestita di una tunica bianca con una leggerezza e semplicita' disarmanti mentre io stavo in prua a farmi schizzare dagli spruzzi, ed abbagliare dal riflesso del
mare. In quella conca, vicino alla grotta c'era una vegetazione rigogliosa e ricordo come fosse ieri la sensazione dei pesci sulle gambe, e la prima volta, lo spavento.
Lei non parlava molto ma mi lasciava scorrazzare tra la conca e il mare rincorrendo piccole meduse, paguri e granchietti fino a farmi sfinire.
A lei piaceva andare nella grotta perche' il mare era assoluto.
Rimbombava nella grotta e avvolgeva tutto. Si giungeva ad una spiaggetta.
Li' le piaceva stare a rinascere. E li ho portato G. per stupirla, per farla rinascere,
per farla sentire mia.
Come mi sia venuto in mente questo non lo so. La sensazione di casa era fortissima in quel ricordo, in quelle immagini. Un dejavu che mi ha portato via. Come l'abbia potuto sognare proprio non capisco. E non lo capisco per diversi motivi. Uno tra tutti e' che io non ho mai vissuto cio. E non capisco come questo, che io non ho mai vissuto, mi faccia sentire cosi' a casa.

domenica 25 gennaio 2009

5 anni

E dopo 5 anni sono qui a fare i cartoni con questo pezzo di vita.
Mi sembra di avere dato tanto. Onestamente tanto.
Nei cassetti ci sono avanzi di anni passati. Una gita ad Amsterdam dove non
siamo mai arrivati, un colino del te per le sere davanti al computer e molti fogli
scribacchiati con tentativi di capire qualcosa.
E' stato tempo CONSUMATO fino all'osso. Mai un rimorso per qualcosa che potevo fare diversamente o meglio perche' veramente ce l'ho messa tutta. E dove ho fallito e' stato
perche' di piu' non si poteva fare. Forse in altri momenti, forse altre persone avrebbero potuto ma io no. Ho dato quello che avevo da dare cosi, onestamente.
Non c'e' altro modo di descrivere tutto questo.
Ho avuto alcuni compagni di strada che sono stati amici e mi sono stupito. E gli ho voluto bene. Mi mancheranno molto.
Sono stati anni consumati in cui ho dovuto scegliere chi essere e molte volte ho rinunciato alla vita fuori per un ideale di conoscienza che non raggiungero' mai.
Poco importa. Non direi che e' stato tempo sprecato ma usato diversamnete. E soprattutto
usato profondamente fino ad arrivare al punto che ora tutto questo, tutto quello che ho fatto e che ho creato non mi interessa piu'.
Vorrei recuperare un po' di quella vita vera, vita fuori che non sono piu' in grado di
prendermi. E' come se la mia anima si fosse rattrappita in un piccolo, miserabile punto.
Dove vado spero di riuscire ad aprirmi un po' al mondo perche' devo fare crescere questa emotivita' bambina e ancora inadatta alla vita.
Intanto ho capito tante cose. Ho capito cosa sono capace di fare e soprattutto quello che non posso diventare agli occhi degli altri.
Ci ho provato ad essere un "genio". Qualcuno per un po' e' sembrato spingermi a farlo.
Ma non ho zoccoli ne muscoli da cavallo da corsa.
Piuttosto la tempra di una bestia da tiro.
Volutamente od obbligatoriamente ignorante.
Da quaggiu' tutto sembra diverso e vorrei che fosse ignorantemente piu' facile.
Non so come ho fatto ad arrivare fino a qui, forse non ci sarei mai dovuto arrivare per capire di non essere adatto ma io sono cosi': mi devo sporgere sul precipizio per
annusare la paura.
E cosi' in quell'aula tutti l'hanno saputo: non sono un cavallo da corsa. E forse per loro neanche una bestia da tiro. Semplicemente rappresento quella indifferenziata mediocrita' che permette a loro, pochi eletti, di essere nell'empireo dove risiedono.
Non provo rimorso o invidia, piuttosto la fredda percezione della differenza oggettiva tra esseri umani: alcuni sono fatti esattamente per qualcosa. Altri non lo sono. E nello specifico credono di essere cio' che non sono.
Fare i cartoni e' un po' come mettere tutte le ambizioni qui dentro, in questa scatola. E' come mettere le notti al computer, le sere in laboratorio, l'entusiasmo per qualcosa che sembrava essere una scoperta dentro un cartone e scegliere la vita fuori. Senza paura ma anche senza entusiasmo.
Avevo detto a G. che questi cinque anni sarebbero stati solo una parentesi per sfogare la mia curiosita' poi ad un certo punto avevo creduto che tutto cio' potesse diventare la mia vita. Ora non piu'. Da fuori avevo avuto una splendida lucidita'.