venerdì 1 maggio 2009

Il figlio del mare

Mia mamma era giovane, avra' avuto si e no trenta anni.
Era una creatura solitaria e diafana che d'estate si scollava
dalla spiaggia gremita in cerca di altro.
Era lei che mi ha insegnato ad usare quella vecchia e grande barca
che si remava da dietro, color legno, con le due punte verniciate di rosso.
Aveva un che di vichingo e mi aveva insegnato dei posti che non conoscevo.
Lei remava vestita di una tunica bianca con una leggerezza e semplicita' disarmanti mentre io stavo in prua a farmi schizzare dagli spruzzi, ed abbagliare dal riflesso del
mare. In quella conca, vicino alla grotta c'era una vegetazione rigogliosa e ricordo come fosse ieri la sensazione dei pesci sulle gambe, e la prima volta, lo spavento.
Lei non parlava molto ma mi lasciava scorrazzare tra la conca e il mare rincorrendo piccole meduse, paguri e granchietti fino a farmi sfinire.
A lei piaceva andare nella grotta perche' il mare era assoluto.
Rimbombava nella grotta e avvolgeva tutto. Si giungeva ad una spiaggetta.
Li' le piaceva stare a rinascere. E li ho portato G. per stupirla, per farla rinascere,
per farla sentire mia.
Come mi sia venuto in mente questo non lo so. La sensazione di casa era fortissima in quel ricordo, in quelle immagini. Un dejavu che mi ha portato via. Come l'abbia potuto sognare proprio non capisco. E non lo capisco per diversi motivi. Uno tra tutti e' che io non ho mai vissuto cio. E non capisco come questo, che io non ho mai vissuto, mi faccia sentire cosi' a casa.

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