Ti ho curata come una cicatrice.
E ora che ritorni, accarezzandola ne sento il dolore correre sotto pelle.
Ti ho voulto bene come ad un simbolo, ad un tatuaggio che la vita ti fa senza scelta.
Ora sei un residuo che non mi levero' mai, un segno di un destino irrealizzato.
Anzi, il contrario del destino:
sei quella scelta che non ho fatto o il segno della battaglia che ho perso.
Che mi ha cambiato in una alternativa tra tante che mi sono inventato.
Quante cose sono passate in questa vita e mi hanno attraversato e scosso a tal punto che certe emozioni umane si sono svuotate e riempite di circostanza per evitarne il pericolo. Non saprei vivere altrimenti.
E tutte queste sono cicatrici che ti accompagnano. Una promessa non mantenuta, una piccola, inutile violenza quotidiana hanno il sapore amaro della abitudine e la solidita' impenetrable della roccia.
Non sfondero' questo vetro. Rimarro' solo dietro di esso.
martedì 13 luglio 2010
giovedì 18 febbraio 2010
tempo di andare
Era tempo di andare e tu lo sapevi gia'.
Non ero stato avvertito dei miei trentadue anni, come avrei fatto?
Ora sono qui e ho scavato a lungo, finito le unghie ed
arrancato in verticale.
Appena in tempo per finire la salita.
Una mail che poteva scuotere un mondo, fare risuonare corde dimenticate di
note acute ora non fa niente. Fa tristezza per un bacio mai dato.
Non piu' di quello.
Per la tristezza che avremmo potuto chiedere e dare di piu' in momenti diversi.
Non ora, non piu'.
Un padre in mezzo alla strada a 60 anni, una valigetta, una casa
da ricostruire. 35 anni di vita bruciata. Imparare a fare un bucato e strirarsi le camicie.
Una madre stanca di vivere senza essersi lasciata percorrere va visitata su appuntamento, per prevenire l'insopportabile sensazione di vedere qualcosa di se' tra trenta anni.
Un corpo che vegeta dentro un'ospizio.
Un appartamento spoglio dove dormire e mangiare, tanti chilometri da macinare tra venerdi' e lunedi'. Piazzole di sosta all'autogrill dove riposare.
Poi uno schermo piatto dal quale passano le apirazioni.
Arrampicare in verticale fa pedere la distanza ed il riferimento delle cose vere.
Sono in cima ma volevo arrivare altrove. Penso che ognuno pensi cosi', sia che
arrivi piu' in alto o piu' in basso di dove ti aspettavi.
Cala la sera. E' tempo di andare.
Non ero stato avvertito dei miei trentadue anni, come avrei fatto?
Ora sono qui e ho scavato a lungo, finito le unghie ed
arrancato in verticale.
Appena in tempo per finire la salita.
Una mail che poteva scuotere un mondo, fare risuonare corde dimenticate di
note acute ora non fa niente. Fa tristezza per un bacio mai dato.
Non piu' di quello.
Per la tristezza che avremmo potuto chiedere e dare di piu' in momenti diversi.
Non ora, non piu'.
Un padre in mezzo alla strada a 60 anni, una valigetta, una casa
da ricostruire. 35 anni di vita bruciata. Imparare a fare un bucato e strirarsi le camicie.
Una madre stanca di vivere senza essersi lasciata percorrere va visitata su appuntamento, per prevenire l'insopportabile sensazione di vedere qualcosa di se' tra trenta anni.
Un corpo che vegeta dentro un'ospizio.
Un appartamento spoglio dove dormire e mangiare, tanti chilometri da macinare tra venerdi' e lunedi'. Piazzole di sosta all'autogrill dove riposare.
Poi uno schermo piatto dal quale passano le apirazioni.
Arrampicare in verticale fa pedere la distanza ed il riferimento delle cose vere.
Sono in cima ma volevo arrivare altrove. Penso che ognuno pensi cosi', sia che
arrivi piu' in alto o piu' in basso di dove ti aspettavi.
Cala la sera. E' tempo di andare.
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