martedì 13 luglio 2010

la cicatrice

Ti ho curata come una cicatrice.
E ora che ritorni, accarezzandola ne sento il dolore correre sotto pelle.
Ti ho voulto bene come ad un simbolo, ad un tatuaggio che la vita ti fa senza scelta.
Ora sei un residuo che non mi levero' mai, un segno di un destino irrealizzato.
Anzi, il contrario del destino:
sei quella scelta che non ho fatto o il segno della battaglia che ho perso.
Che mi ha cambiato in una alternativa tra tante che mi sono inventato.
Quante cose sono passate in questa vita e mi hanno attraversato e scosso a tal punto che certe emozioni umane si sono svuotate e riempite di circostanza per evitarne il pericolo. Non saprei vivere altrimenti.
E tutte queste sono cicatrici che ti accompagnano. Una promessa non mantenuta, una piccola, inutile violenza quotidiana hanno il sapore amaro della abitudine e la solidita' impenetrable della roccia.
Non sfondero' questo vetro. Rimarro' solo dietro di esso.

giovedì 18 febbraio 2010

tempo di andare

Era tempo di andare e tu lo sapevi gia'.
Non ero stato avvertito dei miei trentadue anni, come avrei fatto?
Ora sono qui e ho scavato a lungo, finito le unghie ed
arrancato in verticale.
Appena in tempo per finire la salita.
Una mail che poteva scuotere un mondo, fare risuonare corde dimenticate di
note acute ora non fa niente. Fa tristezza per un bacio mai dato.
Non piu' di quello.
Per la tristezza che avremmo potuto chiedere e dare di piu' in momenti diversi.
Non ora, non piu'.
Un padre in mezzo alla strada a 60 anni, una valigetta, una casa
da ricostruire. 35 anni di vita bruciata. Imparare a fare un bucato e strirarsi le camicie.
Una madre stanca di vivere senza essersi lasciata percorrere va visitata su appuntamento, per prevenire l'insopportabile sensazione di vedere qualcosa di se' tra trenta anni.
Un corpo che vegeta dentro un'ospizio.
Un appartamento spoglio dove dormire e mangiare, tanti chilometri da macinare tra venerdi' e lunedi'. Piazzole di sosta all'autogrill dove riposare.
Poi uno schermo piatto dal quale passano le apirazioni.
Arrampicare in verticale fa pedere la distanza ed il riferimento delle cose vere.
Sono in cima ma volevo arrivare altrove. Penso che ognuno pensi cosi', sia che
arrivi piu' in alto o piu' in basso di dove ti aspettavi.
Cala la sera. E' tempo di andare.

venerdì 1 maggio 2009

Il figlio del mare

Mia mamma era giovane, avra' avuto si e no trenta anni.
Era una creatura solitaria e diafana che d'estate si scollava
dalla spiaggia gremita in cerca di altro.
Era lei che mi ha insegnato ad usare quella vecchia e grande barca
che si remava da dietro, color legno, con le due punte verniciate di rosso.
Aveva un che di vichingo e mi aveva insegnato dei posti che non conoscevo.
Lei remava vestita di una tunica bianca con una leggerezza e semplicita' disarmanti mentre io stavo in prua a farmi schizzare dagli spruzzi, ed abbagliare dal riflesso del
mare. In quella conca, vicino alla grotta c'era una vegetazione rigogliosa e ricordo come fosse ieri la sensazione dei pesci sulle gambe, e la prima volta, lo spavento.
Lei non parlava molto ma mi lasciava scorrazzare tra la conca e il mare rincorrendo piccole meduse, paguri e granchietti fino a farmi sfinire.
A lei piaceva andare nella grotta perche' il mare era assoluto.
Rimbombava nella grotta e avvolgeva tutto. Si giungeva ad una spiaggetta.
Li' le piaceva stare a rinascere. E li ho portato G. per stupirla, per farla rinascere,
per farla sentire mia.
Come mi sia venuto in mente questo non lo so. La sensazione di casa era fortissima in quel ricordo, in quelle immagini. Un dejavu che mi ha portato via. Come l'abbia potuto sognare proprio non capisco. E non lo capisco per diversi motivi. Uno tra tutti e' che io non ho mai vissuto cio. E non capisco come questo, che io non ho mai vissuto, mi faccia sentire cosi' a casa.

domenica 25 gennaio 2009

5 anni

E dopo 5 anni sono qui a fare i cartoni con questo pezzo di vita.
Mi sembra di avere dato tanto. Onestamente tanto.
Nei cassetti ci sono avanzi di anni passati. Una gita ad Amsterdam dove non
siamo mai arrivati, un colino del te per le sere davanti al computer e molti fogli
scribacchiati con tentativi di capire qualcosa.
E' stato tempo CONSUMATO fino all'osso. Mai un rimorso per qualcosa che potevo fare diversamente o meglio perche' veramente ce l'ho messa tutta. E dove ho fallito e' stato
perche' di piu' non si poteva fare. Forse in altri momenti, forse altre persone avrebbero potuto ma io no. Ho dato quello che avevo da dare cosi, onestamente.
Non c'e' altro modo di descrivere tutto questo.
Ho avuto alcuni compagni di strada che sono stati amici e mi sono stupito. E gli ho voluto bene. Mi mancheranno molto.
Sono stati anni consumati in cui ho dovuto scegliere chi essere e molte volte ho rinunciato alla vita fuori per un ideale di conoscienza che non raggiungero' mai.
Poco importa. Non direi che e' stato tempo sprecato ma usato diversamnete. E soprattutto
usato profondamente fino ad arrivare al punto che ora tutto questo, tutto quello che ho fatto e che ho creato non mi interessa piu'.
Vorrei recuperare un po' di quella vita vera, vita fuori che non sono piu' in grado di
prendermi. E' come se la mia anima si fosse rattrappita in un piccolo, miserabile punto.
Dove vado spero di riuscire ad aprirmi un po' al mondo perche' devo fare crescere questa emotivita' bambina e ancora inadatta alla vita.
Intanto ho capito tante cose. Ho capito cosa sono capace di fare e soprattutto quello che non posso diventare agli occhi degli altri.
Ci ho provato ad essere un "genio". Qualcuno per un po' e' sembrato spingermi a farlo.
Ma non ho zoccoli ne muscoli da cavallo da corsa.
Piuttosto la tempra di una bestia da tiro.
Volutamente od obbligatoriamente ignorante.
Da quaggiu' tutto sembra diverso e vorrei che fosse ignorantemente piu' facile.
Non so come ho fatto ad arrivare fino a qui, forse non ci sarei mai dovuto arrivare per capire di non essere adatto ma io sono cosi': mi devo sporgere sul precipizio per
annusare la paura.
E cosi' in quell'aula tutti l'hanno saputo: non sono un cavallo da corsa. E forse per loro neanche una bestia da tiro. Semplicemente rappresento quella indifferenziata mediocrita' che permette a loro, pochi eletti, di essere nell'empireo dove risiedono.
Non provo rimorso o invidia, piuttosto la fredda percezione della differenza oggettiva tra esseri umani: alcuni sono fatti esattamente per qualcosa. Altri non lo sono. E nello specifico credono di essere cio' che non sono.
Fare i cartoni e' un po' come mettere tutte le ambizioni qui dentro, in questa scatola. E' come mettere le notti al computer, le sere in laboratorio, l'entusiasmo per qualcosa che sembrava essere una scoperta dentro un cartone e scegliere la vita fuori. Senza paura ma anche senza entusiasmo.
Avevo detto a G. che questi cinque anni sarebbero stati solo una parentesi per sfogare la mia curiosita' poi ad un certo punto avevo creduto che tutto cio' potesse diventare la mia vita. Ora non piu'. Da fuori avevo avuto una splendida lucidita'.

sabato 15 novembre 2008

Aspettarti a casa

Cosi’ sarai, come questo bimbo che sta camminando sul marciapiede.
Avra’ dieci anni ed e’ carico di due zaini che non gli stanno sulle spalle insieme. Troppa roba da portarsi dietro quando si va a scuola poi quando piove proprio non ce la si puo’ fare. La strada per arrivare a casa e’ troppo lunga e le scarpe sono sempre bagnate. Poi se le stringhe si slacciano meglio lasciarle cosi fino a casa. Fa freddo ed essere sudato dopo ginnastica in questo giubbotto di due taglie piu grande e’ proprio scomodo.
Io saro’ a casa ad aspettarti. Con la vasca piena d’acqua calda ed il te’ sul fornello.
Mentre stai arrivando pensero’ che quello che ti sto insegnando e’ la voglia di casa.
Creare ed essere parte di un mondo speciale che ti desidera e a cui non devi dimostrare nulla. Richiede sforzo. La strada a piedi fino a casa. E ci saranno giorni come questo in cui ti sentirai solo ed abbandonato perche’ nessuno mai ti viene a prendere. Anche a me e’ successo. Ma imparerai la bellezza di sentire le chiavi di casa in tasca tintinnare.
Un giorno o forse molti giorni ti capitera’ che smettera’ di piovere. Potrai chiudere l’ombrello e vedrai un raggio di luce che spezza le nuvole e che mai avresti visto se ti fossi venuto a prendere in macchina. Io spegnero’ il fornello per il te’ perche’ sapro’ che te la prenderai comoda. E mi dovro’ anche incazzare, che fine hai fatto e perche’ non hai chiamato. Saro’ felice invece come un bambino perche’ tu stai diventando te stesso passando attraverso di me. Passando attraverso quelle cose che ho fatto anche io, per quei piccoli errori per cui pensi non ci sia nulla di sbagliato. Ma che devi imparare a sostenere ed amare come la tua prima piccola emozione privata. Sara’ anche mia.
E’ strano. Per qualche motivo ci sono cose che puoi insegnare. Ed altre che so che ti verranno insegnate per il solo fatto che anche tu avrai questa cosa che ci passiamo di padre in figlio e ci portiamo dentro. E’ una cosa ingombrante che ti trascinera’ per la vita e non ti fara’ dormire la notte ma ti dara’ la netta percezione di qualcosa di assoluto che ti porti dentro. La certezza di sapere sempre che cosa vale di piu’. Come questa casa, questi muri che nono ti conoscono ancora. E se mi guardo dentro e’ proprio questa cosa che ora mi rende uomo. E mi permette di fare delle scelte difficili senza alcun tentennamento perche’ ho la certezza che non avro’ mai un rimorso. So di potere sbagliare ma che le cose che ho fatto sono state il meglio che potevo fare per il momento in cui le ho vissute.
Ti auguro in bocca al lupo per questo e per tutto il resto.

lunedì 11 febbraio 2008

niente di nuovo

Ancora una volta le tue mani entreranno senza bussare.
Non opporro' nessuna resistenza e lasciero' che tutto passi come deve, come e' sempre stato. Ne usciremo forse una buona volta.
Smettero' di passare sotto casa tua la notte.
Mi tagliero' i capelli e mi faro' la barba e cosi' e' gia' un giorno migliore.
Chiudero' questa valigia sporca, logora ma resistente e la portero' via.
Ci mettero' dentro questi panni vecchi e stanchi, questi sogni a meta' che
ingorgano la mente e ne tolgono il respiro per niente. Per scoprire che non sei niente di diverso da una pagina di giornale gia' vecchia, niente che una debole scia di profumo. Tu non cambi vite e neanche la tua, dopotutto, e' molto diversa da prima.
Non regali emozioni e non mi sorprendi piu'. Ne' piu' ti voglio capire e capire tanto meno il perche' tu non senta cosa ti sta succedendo dentro e ancora di piu' cosa potrebbe succedere. Siamo sangue e calore. Non ti sei ancora resa conto?
Io mi rendo conto e qui mi spendo. Per il mio sangue e per il mio calore. Contro questa bestiale sensazione di essere nel posto sbagliato , sempre e comunque. Mi scavo la mia nicchia calda con le unghie, a forza di ore. E spero che un giorno mi passi.
Cosa saremmo potuti essere ora? Quale era il finale di partita? Saresti stata una buona madre di sicuro. E forse io avrei rinunciato alla ambizione per cogliere le cose preziose che sulla strada mi avresti dato. O forse no. Non c'e' rimpianto, solo curiosita'.Il fatto e' che ora siamo in questa vita.
Siamo storti e rigidi come binari al sole.
Feriti ed induriti.
Ma ogni tanto filtra una crepa di luce e mi ricorda che abbiamo diviso qualcosa che ci avrebbe plasmato, che ci avrebbe reso cio' che piu' siamo oggi. Ci avrebbe insegnato a soffrire di piu' per sentire di piu'. Cosi' siamo oggi nelle nostre foto.

giovedì 3 gennaio 2008