Ho perso gli occhiali da sole a maggio e non li ho piu’ cercati. Ho pensato che per quest’anno potevo lasciare i colori dell’estate invadermi cosi’ come sono, senza barriere, senza protezioni. E’ strano come i miei occhi, fatti per vedere la natura cosi’ come e’ non fossero piu’ pronti per questo e all’inizio facevano male. Ma non e’ giusto, pensai. Devo riabituarmi ed ora, dopo una estate cosi’ penso che il mondo sia piu’ luminoso di come l’avevo pensato e voluto per molto tempo. Ci sono ancora quei colori di quando ero bimbo. Li vedo passando con la macchina oggi, domenica, mentre vado a lavoro a mezzogiorno. Il caldo colore giallo dei muri dei cortili e la polvere di terra riarsa sono ancora vive e accecano ancora come allora. Il sole era caldo e premeva sulle nostre piccole teste, uno sciame di bimbi alle prese con bici, pallone e cantine buie da esplorare. Ricordo distintamente l’odore dell’asfalto caldo alle due del pomeriggio e io seduto sui gradini della soglia di casa con le mie montagne di lego riverse in piazza. Gli alberi erano frondosi e c’erano poche, veramente poche macchine in giro ad agosto. La nostra cricca era incredibilmente assortita. C’erano i figli degli abusivi nella ex casa del fascio con cui dividevo i pidocchi e che mi fregavano i mattoncini. Le loro case erano grandi e fatiscenti, vivevano in dieci tutti in soggiorno e c’era sempre dentro un odore di minestrone andato a male. I loro destini non li hanno perdonati e molti di loro hanno fatto fuori e dentro dal carcere, qualcuno invece ha fatto fuori e dentro da un ospedale. Braccia e piedi bucati. Di loro qualcuno non e’ piu’ uscito ne dall’uno, ne dall’altro. Negli anni 80 il riscatto sociale era ancora impossibile. C’erano S. e V. il cui padre- si sarebbe scoperto poi- era un noto spacciatore. Un giorno loro madre porto’ i due bimbi dalla zia e chiamo’ i carabinieri che lo vennero a prendere con cinque macchine . Loro seppero solo che il padre dovette andare improvvisamente a lavorare in sicilia. Dieci anni piu’ tardi lo recapitarono a casa in totale stato confusionale e fu evidente che le cose erano andate diversamente. E. era la mia amica del cuore. Le volevo bene. La prima curiosita’ per il sesso sotto il mio letto. Eta’ 6 anni. Non ne parlammo mai piu’ una volta grandi, non ne potremo mai piu’ parlare. La strada se la e’ portata via una notte umida. Speravo per lei grandi cose, era la sorella che non ho mai avuto e i nostri genitori ci hanno cresciuto proprio cosi’, come fratello e sorella. Aspettavamo nella neve l’autobus di T. per l’asilo. Piccoli fagotti nei primi piumini plasticati marca stratos presi al mercato. Eravamo i primi a salirvi sempre ai primi due posti. E suor I. ci dava delle caramelle al miele con l’immagine del dolce Remi’. I suoi lavoretti sul cartoncino col punteruolo erano sempre migliori dei miei. Un piccolo caldo pensiero per lei, ora.
Tutto questo lo ritrovo ora ed e’ un piccolo tesoro prezioso da accudire. Ci sono cose, profumi, colori che non si lavano via e sono la traccia indelebile del vissuto. Amo tutta questa tavolozza dolce e amara. E’ il colore di cui siamo sporchi, che ci portiamo addosso come piccole macchie sulla camicia che solo gli altri notano. A nostra volta, in ogni viaggio in treno, in ogni stretta di mano seminiamo le tracce del nostro mondo e propaghiamo la memoria delle esperienze che piu’ ci hanno segnato, nel bene nel male. Ti ho gia’ ferito piu’ volte con la stessa cattiveria con cui quelle voci fuori dalla camera mi ferivano e spaventavano. E’ il solo modo che conosco e ti chiedo scusa. Ti ho accarezzato con il palmo rivolto perche’ e’ la forma della dolcezza che io conosco ma ti ho sempre comprato mille cose che ti piacciono quando ho fatto la spesa perche’ e’ stato il modo segreto dell’amore in casa mia. E non ti ho mai detto quanto sei importante perche’ non ho mai sentito nessuno dirlo in un modo che vorrei potere usare.
domenica 26 agosto 2007
martedì 21 agosto 2007
Il venticinquesimo chilometro.
Il corpo non sa dire di no. La volonta’ tiene. E’ facile arrivare alla fine cosi’. Intorno nulla e nessuno. il venticinquesimo chilometro ha un sapore dolce. Non c’entra l’eroismo del gesto. Domani non andro’ a bullarmi in ufficio. Non l’ho mai fatto per non mettere l’interlocutore in una posizione senza scampo, in cieca ammirazione (almeno dovrebbe) del coraggio, il tutto solo per cortesia.
Invece questo sapore e’ dolce e va’ condiviso. Potrei piuttosto raccontare di essere stato in un posto solitario dove le emozioni del corpo e dell’anima convergono. Sono pulito nel venticinquesimo chilometro e mi sembra di lavare col sudore le mie frustrazioni. Quell’articolo che non parte per l’ignoranza d’oltreoceano e’ una pagina a colori grondante inchiostro ma niente piu’. Non c’e’ rabbia ne’ rassegnazione. Un passo dietro l’altro, le mie scarpette bianche e rosse feriscono questo asfalto. Controllo ora il mio passo per renderlo silenzioso e morbido e non spaventare la natura del sogno. Da sopra il lago appare uno squarcio di sole a scaldare l’ultimo scampolo d’estate che mi sento di bere. Non e’ stata una domenica eccezionale. Ho lavorato per recuperare alle mancanze di altri, servira’ mai? Poi ho mangiato del riso avanzato freddo di frigo e subito ancora a lavorare forte. G. e’ tornata a casa e si e’ addormentata sotto le coperte durante il temporale. Io la guardavo da dietro lo schermo del computer e pensavo che quello che facevo per qualche motivo era anche per lei. Poi ha smesso di piovere ed eccomi qui. Cerco di ordinare i pensieri di una settimana. A. e’ andata in ferie e ho tante cose da fare per lei, per l’affetto che provo verso la prima persona a cui ho potuto trasmettere quello che ho imparato e creato. In ufficio poca gente e comincio ad avere la strana sensazione di essermi perso un po’ di vita a non andare via anche io. Anche la chat e’ muta e non controllo neanche piu’ che dall’altra parte ci sia qualcuno che abbia voglia di comunicarmi qualcosa. E che quel qualcosa mi faccia cambiare tutto come uno squarcio nell’insoddisfazione. L’unico diversivo e’ un caffe’ amaro cinque volte al giorno per darsi botta. Ma ora, qui tra questi colori non sento il peso di tutto cio’. Un giorno volero’ anche io lontano dalle mie ossessioni e persecuzioni tra questi alberi, accarezzando queste montagne di granito come in un volo. Non pensero’ che casa non e’ casa e che c’e’ una altra persona diversa da quella che io vivo con la quale dividere il pane. Il venticinquesimo chilometro e’ una specie di fuga dalla realta’. Godo un po’ dell’egoismo di riprendermi il mio tempo, lievemente narcotizzato dalla fatica. La pelle si raffredda e l’asfalto diventa scuro. Arrivare in fondo mi insegnera’ cosa non ho ancora imparato ? Dare tutto nella vita vera, non mollare tutto all’ultimo metro come ha fatto C.? Ad un passo dalla conclusione si e’ bruciata tutto, ha cacciato fuori il mondo dalla finestra e sputato in faccia a noi che abbiamo provato ad aiutarla, semplicemente per completare l’autodistruzione che da anni ha propagato. Con una mail ha sprecato la sua fellowship della Royal Society che l’aveva portata piena di speranze dalla Spagna ad Oxford. Perche’? Forse lo posso immaginare: anche lei non dorme la notte e coltiva il suo segreto dolore come un orticello di primizie. La sua casa e’ in ordine perfetto: si capisce che se cade una foglia per terra puo’ crollare il mondo. Ora sono gli ultimi metri, vedo gia’ la fontana. Rallento il passo. Sono arrivato. Sono felice.
Invece questo sapore e’ dolce e va’ condiviso. Potrei piuttosto raccontare di essere stato in un posto solitario dove le emozioni del corpo e dell’anima convergono. Sono pulito nel venticinquesimo chilometro e mi sembra di lavare col sudore le mie frustrazioni. Quell’articolo che non parte per l’ignoranza d’oltreoceano e’ una pagina a colori grondante inchiostro ma niente piu’. Non c’e’ rabbia ne’ rassegnazione. Un passo dietro l’altro, le mie scarpette bianche e rosse feriscono questo asfalto. Controllo ora il mio passo per renderlo silenzioso e morbido e non spaventare la natura del sogno. Da sopra il lago appare uno squarcio di sole a scaldare l’ultimo scampolo d’estate che mi sento di bere. Non e’ stata una domenica eccezionale. Ho lavorato per recuperare alle mancanze di altri, servira’ mai? Poi ho mangiato del riso avanzato freddo di frigo e subito ancora a lavorare forte. G. e’ tornata a casa e si e’ addormentata sotto le coperte durante il temporale. Io la guardavo da dietro lo schermo del computer e pensavo che quello che facevo per qualche motivo era anche per lei. Poi ha smesso di piovere ed eccomi qui. Cerco di ordinare i pensieri di una settimana. A. e’ andata in ferie e ho tante cose da fare per lei, per l’affetto che provo verso la prima persona a cui ho potuto trasmettere quello che ho imparato e creato. In ufficio poca gente e comincio ad avere la strana sensazione di essermi perso un po’ di vita a non andare via anche io. Anche la chat e’ muta e non controllo neanche piu’ che dall’altra parte ci sia qualcuno che abbia voglia di comunicarmi qualcosa. E che quel qualcosa mi faccia cambiare tutto come uno squarcio nell’insoddisfazione. L’unico diversivo e’ un caffe’ amaro cinque volte al giorno per darsi botta. Ma ora, qui tra questi colori non sento il peso di tutto cio’. Un giorno volero’ anche io lontano dalle mie ossessioni e persecuzioni tra questi alberi, accarezzando queste montagne di granito come in un volo. Non pensero’ che casa non e’ casa e che c’e’ una altra persona diversa da quella che io vivo con la quale dividere il pane. Il venticinquesimo chilometro e’ una specie di fuga dalla realta’. Godo un po’ dell’egoismo di riprendermi il mio tempo, lievemente narcotizzato dalla fatica. La pelle si raffredda e l’asfalto diventa scuro. Arrivare in fondo mi insegnera’ cosa non ho ancora imparato ? Dare tutto nella vita vera, non mollare tutto all’ultimo metro come ha fatto C.? Ad un passo dalla conclusione si e’ bruciata tutto, ha cacciato fuori il mondo dalla finestra e sputato in faccia a noi che abbiamo provato ad aiutarla, semplicemente per completare l’autodistruzione che da anni ha propagato. Con una mail ha sprecato la sua fellowship della Royal Society che l’aveva portata piena di speranze dalla Spagna ad Oxford. Perche’? Forse lo posso immaginare: anche lei non dorme la notte e coltiva il suo segreto dolore come un orticello di primizie. La sua casa e’ in ordine perfetto: si capisce che se cade una foglia per terra puo’ crollare il mondo. Ora sono gli ultimi metri, vedo gia’ la fontana. Rallento il passo. Sono arrivato. Sono felice.
giovedì 16 agosto 2007
Crysalide
Erano sere d’estate amare, quelle.
Niente poteva bastare.
Le prove erano a Milano, un bel pezzo di strada. Di notte, stracciato dopo due ore di adrenalina a mani rotte tornavo da Lei. La superstrada era una lotta contro il sonno, ipnotizzato come ero dalla cadenza della luce dei lampioni. Ho rischiato del mio, lo so. Come quella sera che mi sono addormentato a volante e mi sono risvegliato oramai diretto a tutta velocita’ in culo ad un fuoristrada. Macchina distrutta. Quando arrivavo da lei c’era poco da fare o dire. Mi addormentavo e venivo cacciato via a casa mia dove il letto l’avevo ed era fatto per dormire.
Sulla strada di casa avveniva il cambiamento. Mi svegliavo e avevo sete. Cambiavo direzione. Giravo verso casa tua e passavo sotto la tua finestra. Non seppi mai cio’ che cercavo. Passavo e sbirciavo oltre le persiane in un passato che bruciava. Non ho mai capito se speravo che tu fossi li fuori e potessi notare che ero io in quella macchina. E anche se cosi’, cosa sarebbe potuto cambiare? Cosa mai avrei saputo dire? Niente mi dette mai una risposta ma passai mesi cosi’.
Poi tutto peggioro’: mi trovavo in camera nel cuore della notte con l’istinto di venire sotto casa tua. Prendevo la macchina e partivo. Musica a palla e urlavo per sfogarmi. Sono passati inverni sordi di neve e la tua finestra smise di essere illuminata. L’ultimo flebile legame di realta’ comune, io da una parte del vetro e tu da quell’altra, venne meno.
Non so se veramente la tua finestra potesse mai celare la risposta alla mia inquietudine perche’ tua o per il semplice fatto di essere lontana e irraggiungibile. Ho sempre avuto bisogno nella mia vita di quella cosa che manca. Una ricerca continua di qualcosa che non c’e’. Forse e’ perche’ le persone che non hanno problemi se li vanno sempre a cercare, forse perche’ la vita senza il desiderio e’ un contenitore vuoto e non risuona di nessuna musica. Trattenere il desiderio e’ inumano e sempre andrebbe vissuto con gli slanci adolescenziali che spingono le persone a fare quello che mai farebbero. Non si spiegherebbe altrimenti come sia mai possibile scrivere una canzone, dipingere un quadro, inventare poesie e scalare montagne. Vorrei sempre vivere con questo istinto irrefrenabile di consumarsi nell’essere. Tutti i giorni. Con la disciplina di un kamikaze, dentro la mia piccola crisalide c’e’ tutto questo. Devo tenere duro e non farlo morire mai. Correre fino alla fine: non per fuggire ma per rincorrere qualcosa. Vorrei non essere il solo a sentire questo e penso di non esserlo ma nessuno si sente pronto a condividere la propria intima attitudine alla vita per non autodistruggere il proprio piccolo mondo, piccola crisalide protetta.
Questo e’ il paradosso che mi trascino dentro. Ho costruito una vita perfetta di felicita’ precarie che ho mantenuto per non dovere buttare via sempre tutto. Dover viaggiare a cuore aperto non lascia scampo mai e anche ora che l’istinto e’ piu’ forte non mi sento pronto. Penso che ad un certo punto il destino mi verra’ a prendere e spazzera’ via tutto questo mettendomi a nudo, facendomi ricostruire da capo la mia piccola crisalide adattata a questo nuovo io.
Niente poteva bastare.
Le prove erano a Milano, un bel pezzo di strada. Di notte, stracciato dopo due ore di adrenalina a mani rotte tornavo da Lei. La superstrada era una lotta contro il sonno, ipnotizzato come ero dalla cadenza della luce dei lampioni. Ho rischiato del mio, lo so. Come quella sera che mi sono addormentato a volante e mi sono risvegliato oramai diretto a tutta velocita’ in culo ad un fuoristrada. Macchina distrutta. Quando arrivavo da lei c’era poco da fare o dire. Mi addormentavo e venivo cacciato via a casa mia dove il letto l’avevo ed era fatto per dormire.
Sulla strada di casa avveniva il cambiamento. Mi svegliavo e avevo sete. Cambiavo direzione. Giravo verso casa tua e passavo sotto la tua finestra. Non seppi mai cio’ che cercavo. Passavo e sbirciavo oltre le persiane in un passato che bruciava. Non ho mai capito se speravo che tu fossi li fuori e potessi notare che ero io in quella macchina. E anche se cosi’, cosa sarebbe potuto cambiare? Cosa mai avrei saputo dire? Niente mi dette mai una risposta ma passai mesi cosi’.
Poi tutto peggioro’: mi trovavo in camera nel cuore della notte con l’istinto di venire sotto casa tua. Prendevo la macchina e partivo. Musica a palla e urlavo per sfogarmi. Sono passati inverni sordi di neve e la tua finestra smise di essere illuminata. L’ultimo flebile legame di realta’ comune, io da una parte del vetro e tu da quell’altra, venne meno.
Non so se veramente la tua finestra potesse mai celare la risposta alla mia inquietudine perche’ tua o per il semplice fatto di essere lontana e irraggiungibile. Ho sempre avuto bisogno nella mia vita di quella cosa che manca. Una ricerca continua di qualcosa che non c’e’. Forse e’ perche’ le persone che non hanno problemi se li vanno sempre a cercare, forse perche’ la vita senza il desiderio e’ un contenitore vuoto e non risuona di nessuna musica. Trattenere il desiderio e’ inumano e sempre andrebbe vissuto con gli slanci adolescenziali che spingono le persone a fare quello che mai farebbero. Non si spiegherebbe altrimenti come sia mai possibile scrivere una canzone, dipingere un quadro, inventare poesie e scalare montagne. Vorrei sempre vivere con questo istinto irrefrenabile di consumarsi nell’essere. Tutti i giorni. Con la disciplina di un kamikaze, dentro la mia piccola crisalide c’e’ tutto questo. Devo tenere duro e non farlo morire mai. Correre fino alla fine: non per fuggire ma per rincorrere qualcosa. Vorrei non essere il solo a sentire questo e penso di non esserlo ma nessuno si sente pronto a condividere la propria intima attitudine alla vita per non autodistruggere il proprio piccolo mondo, piccola crisalide protetta.
Questo e’ il paradosso che mi trascino dentro. Ho costruito una vita perfetta di felicita’ precarie che ho mantenuto per non dovere buttare via sempre tutto. Dover viaggiare a cuore aperto non lascia scampo mai e anche ora che l’istinto e’ piu’ forte non mi sento pronto. Penso che ad un certo punto il destino mi verra’ a prendere e spazzera’ via tutto questo mettendomi a nudo, facendomi ricostruire da capo la mia piccola crisalide adattata a questo nuovo io.
giovedì 9 agosto 2007
Sembra cosi' difficile
Io sono qui a vivere una notte lunga di lavoro duro, senza riposo, senza tregua e che sottrae al mio tempo migliore la forza e l'energia.
A cento chilometri di distanza stai tu, cara amica.
Speri che dalla porta entri il tuo nuovo motivo per continuare a sognare.
Una sera fredda e un po' di vino potrebbero regalarti un caldo abbraccio davanti ad un film giusto, con una persona giusta.
Non mi sembrano le nostre strade poi cosi' distanti.
E' vivere alla goccia, sempre.
Io, tra i miei mucchi di carta, le penne che non funzionano, i souvenir di ospiti lontani, tazze sporche e profumo di caffe' riempio le pagine con qualcosa che dice un po' di me. E cerco di spiegare che il mio mondo ha diritto di esistere, con le corde che collegano le molecole al loro destino di immutabiita' perfetta. E le superfici morbide che queste percorrono spiegano un piccolo frammento del segreto immenso della natura. Parte di quello che e' piu' importante lo sappiamo da sempre ma non ci sono parole per spiegarlo. Cerco nel mio piccolo di dare questo a chi incontro. Cerco di creare una rete di persone amiche che si fidino di me e che credono nelle stesse cose che credo io. L'eccezionalita' di scoprire come la natura ha imparato e ci ha plasmato e' un miracolo che costa fatica ma che vale la pena. Anche se mille cose non vanno, mille tentativi falliscono, tutto questo ci lega di piu'. Qui e ora io vivo questo fino all'ultima goccia di forza.
E' possibile che ora tu abbia finito di lavare i piatti di una cena semplice ma curata, sistemi la cucina e ti asciughi le mani. Il film e' gia' quasi iniziato ma vai a chiudere la finestra perche' quella brezza che arriva da ovest entra in casa e ferisce quasi questa perfezione. Arriva da qui, da dove sono io che ti penso e ti sorrido. Ti siedi sul divano e ti lasci incoraggiare. Apri il tuo cuore, le ultime luci del giorno scompaiono. Spegni la luce e preferisci quella calda di un vecchio abat-jour.
Ora guardi lui intensamente senza che si accorga: potrebbe essere l'inizio di una pagina nuova, pensi. Speri che non dica nulla ancora per qualche minuto e si accorga che e' tutto perfetto e potrebbe diventare anche suo.
Decidi di lasciarti un po' di piu' e il tuo fianco poggia ora sul suo corpo e ne senti il calore. Un buon inizio. Speriamo solo l'inizio.
Sembra tutto cosi' difficile prima di essere dentro le cose, ma la mia ricerca di qualcosa dentro di me e fuori di me sulla carta,tra questi tasti una volta che sono qui e' una specie di ondata irrefrenabile, dolce e gentile che mi porta dentro la notte. E cosi' forse per te? Tutte le paure che avevi prima di cena sono scomparse e gia' ora navighi questo mare aperto e generoso?
Insieme a noi ci sono mille vite: G. e' in ospedale pregando che nessuna piccola anima venga dimenticata dalla terra in questa notte. E M. sta pensando che ieri sera un amico un po' stronzo l'ha preso per i capelli e gli ha detto che ora e' il momento di dare tutto senza guardarsi indietro mai. Forse ha ragione. Assieme a loro altre vite si muovono sulle strade rischiando del loro, mettendosi in gioco. Piccole emozioni in scatole di latta illuminate: le puoi vedere e non puoi fermare questo. E' l'amore che muove i padri verso casa, i fidanzati sotto i portoni, le famiglie in vacanza.
Come un fiume in piena accadono mille cose eccezionali. Ci siamo anche noi dentro e non sembra poi cosi' difficile potere pensare che le nostre vite siano distanti ma si somiglino lo stesso. Non ci apparteniamo neanche. Sarebbe cosi' crudele. Non c'e' gelosia in un amore cosi'.
Sembrava tutto cosi' difficile ma non lo e' piu'.
A cento chilometri di distanza stai tu, cara amica.
Speri che dalla porta entri il tuo nuovo motivo per continuare a sognare.
Una sera fredda e un po' di vino potrebbero regalarti un caldo abbraccio davanti ad un film giusto, con una persona giusta.
Non mi sembrano le nostre strade poi cosi' distanti.
E' vivere alla goccia, sempre.
Io, tra i miei mucchi di carta, le penne che non funzionano, i souvenir di ospiti lontani, tazze sporche e profumo di caffe' riempio le pagine con qualcosa che dice un po' di me. E cerco di spiegare che il mio mondo ha diritto di esistere, con le corde che collegano le molecole al loro destino di immutabiita' perfetta. E le superfici morbide che queste percorrono spiegano un piccolo frammento del segreto immenso della natura. Parte di quello che e' piu' importante lo sappiamo da sempre ma non ci sono parole per spiegarlo. Cerco nel mio piccolo di dare questo a chi incontro. Cerco di creare una rete di persone amiche che si fidino di me e che credono nelle stesse cose che credo io. L'eccezionalita' di scoprire come la natura ha imparato e ci ha plasmato e' un miracolo che costa fatica ma che vale la pena. Anche se mille cose non vanno, mille tentativi falliscono, tutto questo ci lega di piu'. Qui e ora io vivo questo fino all'ultima goccia di forza.
E' possibile che ora tu abbia finito di lavare i piatti di una cena semplice ma curata, sistemi la cucina e ti asciughi le mani. Il film e' gia' quasi iniziato ma vai a chiudere la finestra perche' quella brezza che arriva da ovest entra in casa e ferisce quasi questa perfezione. Arriva da qui, da dove sono io che ti penso e ti sorrido. Ti siedi sul divano e ti lasci incoraggiare. Apri il tuo cuore, le ultime luci del giorno scompaiono. Spegni la luce e preferisci quella calda di un vecchio abat-jour.
Ora guardi lui intensamente senza che si accorga: potrebbe essere l'inizio di una pagina nuova, pensi. Speri che non dica nulla ancora per qualche minuto e si accorga che e' tutto perfetto e potrebbe diventare anche suo.
Decidi di lasciarti un po' di piu' e il tuo fianco poggia ora sul suo corpo e ne senti il calore. Un buon inizio. Speriamo solo l'inizio.
Sembra tutto cosi' difficile prima di essere dentro le cose, ma la mia ricerca di qualcosa dentro di me e fuori di me sulla carta,tra questi tasti una volta che sono qui e' una specie di ondata irrefrenabile, dolce e gentile che mi porta dentro la notte. E cosi' forse per te? Tutte le paure che avevi prima di cena sono scomparse e gia' ora navighi questo mare aperto e generoso?
Insieme a noi ci sono mille vite: G. e' in ospedale pregando che nessuna piccola anima venga dimenticata dalla terra in questa notte. E M. sta pensando che ieri sera un amico un po' stronzo l'ha preso per i capelli e gli ha detto che ora e' il momento di dare tutto senza guardarsi indietro mai. Forse ha ragione. Assieme a loro altre vite si muovono sulle strade rischiando del loro, mettendosi in gioco. Piccole emozioni in scatole di latta illuminate: le puoi vedere e non puoi fermare questo. E' l'amore che muove i padri verso casa, i fidanzati sotto i portoni, le famiglie in vacanza.
Come un fiume in piena accadono mille cose eccezionali. Ci siamo anche noi dentro e non sembra poi cosi' difficile potere pensare che le nostre vite siano distanti ma si somiglino lo stesso. Non ci apparteniamo neanche. Sarebbe cosi' crudele. Non c'e' gelosia in un amore cosi'.
Sembrava tutto cosi' difficile ma non lo e' piu'.
mercoledì 8 agosto 2007
Incisione
Tagliare lungo la cicatrice piu’ dura.
Incidere a fondo con la lama affilata di un coltello sporco di anni.
E aspettare quei secondi fino alla macchia piu calda del sangue.
Non l’avresti mai detto, vero?
Siamo ancora dentro questa ferita che e’ stata gia’ curata e martoriata piu’ volte.
Tirare i lembi della pelle, e sentire che brucia. Non c’e’ nessuna altra soluzione.
Lascio che il dolore mi controlli e sfinisca, il destino ha voluto essere invadente questa volta e non ci ha lasciato altra via di scampo che questo foglio bianco in cui scrivere e questi coltelli per insegnarci che non si fugge da se’. Voglio essere io stesso ad usarli contro di me per capire se l’istinto di conservazione e’ piu’ forte della volonta’.
Ora fa freddo e non vedo piu’ bene i contorni delle cose, perdo il controllo e ho paura. No, non ora. Non so se mi stringi cosa succede, cosa cambia. Non so se questo caldo abbraccio e’ il filo di sutura per questa ferita che mi sono provocato e che sporca anche te. Non lo volevo, veramente. E’ una ingiustizia trascinarti a forza in questo sopruso ed esigere che sia tu a salvarmi. Tu non hai colpe. E’ stato il tempo a raffinare le sue tecniche contro la solitudine e a germinare questo nodo duro e doloroso sotto la pelle. Ora se puoi aiutami, non avere pieta’ ma affonda e scava. Sotto il muscolo, attraverso le ossa, spezza i tendini. Gira il polso verso l’interno, afferra il ferro a pieno palmo e spingi in basso facendo leva sull’osso. Senza cura ed attenzione. Il dolore e’ solo uno spasmo che si rilascia in una vampa di sudore e recupero il fiato per un attimo. La lama cosi’ lacera la pelle e porta fuori tutto questo. Vedi : e’ cosi facile. Il mio piccolo figlio del dolore non e’ sporco di sangue. Non ha colore. E’ perfetto e fragile. L’ho coltivato cosi’ perche’ fosse insopportabile e la sua presenza mi ricordasse qualcosa di te, forse. Ancora piu’ di me, di quello che e’ aspettare la liberta’ tra le quattro mura di una camera e sentire le urla fuori. Di quello che e’ la vana ricerca di un po’ di poesia nel metro a gennaio. Con i guanti a mezzo dito per stare al caldo ma potere accarezzare il metallo freddo dove passa tanta vita. Con le unghie e con i denti attaccarsi alla speranza dimenticando la realta’ per lunghi inverni e lunghe estati.
Ora avrei voglia di festa. E di ballare tutta la notte senza pensare al sangue versato. E guardare i volti degli amici piu’ cari illuminati dalla luce del fuoco. Le voci intorno che non capisco mi avvolgono. Ho vissuto quel calore. Lo so. Mi sentivo leggero.
Si, il sangue necessario che ci da la vita ci ha preso tutto. In se’ c’e’ un rosso che sconcerta e spaventa ma che trascina con se oggetti, ricordi, alberi, montagne. Non si ferma mai e spinge sulle nostre resistenze, sulla morale presa in prestito. Sembra lavare via le uniche riserve di speranza di condurre una vita cosi’ come e’ ora: semplice.
Cerchero’ di resistere ancora un poco. Ancora il giusto per vedere se dietro i tuoi occhi imprigionati hai abbandonato tutto anche tu e hai deciso di impugnare il coltello verso te stessa.
Incidere a fondo con la lama affilata di un coltello sporco di anni.
E aspettare quei secondi fino alla macchia piu calda del sangue.
Non l’avresti mai detto, vero?
Siamo ancora dentro questa ferita che e’ stata gia’ curata e martoriata piu’ volte.
Tirare i lembi della pelle, e sentire che brucia. Non c’e’ nessuna altra soluzione.
Lascio che il dolore mi controlli e sfinisca, il destino ha voluto essere invadente questa volta e non ci ha lasciato altra via di scampo che questo foglio bianco in cui scrivere e questi coltelli per insegnarci che non si fugge da se’. Voglio essere io stesso ad usarli contro di me per capire se l’istinto di conservazione e’ piu’ forte della volonta’.
Ora fa freddo e non vedo piu’ bene i contorni delle cose, perdo il controllo e ho paura. No, non ora. Non so se mi stringi cosa succede, cosa cambia. Non so se questo caldo abbraccio e’ il filo di sutura per questa ferita che mi sono provocato e che sporca anche te. Non lo volevo, veramente. E’ una ingiustizia trascinarti a forza in questo sopruso ed esigere che sia tu a salvarmi. Tu non hai colpe. E’ stato il tempo a raffinare le sue tecniche contro la solitudine e a germinare questo nodo duro e doloroso sotto la pelle. Ora se puoi aiutami, non avere pieta’ ma affonda e scava. Sotto il muscolo, attraverso le ossa, spezza i tendini. Gira il polso verso l’interno, afferra il ferro a pieno palmo e spingi in basso facendo leva sull’osso. Senza cura ed attenzione. Il dolore e’ solo uno spasmo che si rilascia in una vampa di sudore e recupero il fiato per un attimo. La lama cosi’ lacera la pelle e porta fuori tutto questo. Vedi : e’ cosi facile. Il mio piccolo figlio del dolore non e’ sporco di sangue. Non ha colore. E’ perfetto e fragile. L’ho coltivato cosi’ perche’ fosse insopportabile e la sua presenza mi ricordasse qualcosa di te, forse. Ancora piu’ di me, di quello che e’ aspettare la liberta’ tra le quattro mura di una camera e sentire le urla fuori. Di quello che e’ la vana ricerca di un po’ di poesia nel metro a gennaio. Con i guanti a mezzo dito per stare al caldo ma potere accarezzare il metallo freddo dove passa tanta vita. Con le unghie e con i denti attaccarsi alla speranza dimenticando la realta’ per lunghi inverni e lunghe estati.
Ora avrei voglia di festa. E di ballare tutta la notte senza pensare al sangue versato. E guardare i volti degli amici piu’ cari illuminati dalla luce del fuoco. Le voci intorno che non capisco mi avvolgono. Ho vissuto quel calore. Lo so. Mi sentivo leggero.
Si, il sangue necessario che ci da la vita ci ha preso tutto. In se’ c’e’ un rosso che sconcerta e spaventa ma che trascina con se oggetti, ricordi, alberi, montagne. Non si ferma mai e spinge sulle nostre resistenze, sulla morale presa in prestito. Sembra lavare via le uniche riserve di speranza di condurre una vita cosi’ come e’ ora: semplice.
Cerchero’ di resistere ancora un poco. Ancora il giusto per vedere se dietro i tuoi occhi imprigionati hai abbandonato tutto anche tu e hai deciso di impugnare il coltello verso te stessa.
venerdì 3 agosto 2007
Il profumo del pane
Mi ricordo mio nonno quando già in pensione faceva il pane. Lo faceva solo per me dopo avere speso 50 e passa anni a farlo per sbarcare il lunario asoggettandosi ad orari impossibili. Preparava una piccola quantita’ di pasta e con le sue mani pigre e rugose formava dei piccoli cornetti perfetti, arrotolando i bianchi fogli lievitati. Ne piegava le estremita’ facendoli sembrare dei veri piccoli corassaint. Spalmava del bianco d’uovo e li infornava.
Nel forno crescevano e si imbrunivano profumando le stanze e quelle piccole forme diventavano dei piccoli capolavori di arte che quasi faceva paura mangiarli.
Sono anche le vite delle persone cosi’? La forma originaria che ci siamo dati e’ veramente importante? E’ questa a dare il senso del ritorno, di casa? Sono ancora io, quello del liceo? bipolare romantico complessato 10 anni dopo? Non so, penserei di no. Mi sono sentito piu’ volte cresciuto di piu’ conoscendo gente nuova che portava nuovo oro nella mia esistenza ma ora che mi riguardo indietro rivedo me. Identico. La stessa forma ma con tutto l’aroma di avere imparato a conoscersi, rispettarsi e prendere cio’ che di buono c’e’ dentro e fuori me. Punto e basta. E tu, sei ancora li’? Sento che c’e’ qualcosa che e’ rimasto: la nostra forma originale. Il modo di guardare le cose, quel modo cosi’ profondo e doloroso, una sensibilita’ tagliente del fatto che niente torna piu’ e ogni giorno ha un sapore piu’ amaro. Bastera’ sapere questo per riuscire ad evitare di ricercarsi? Non e’ mai vero che chi assomiglia si piglia. Il destino della vita delle persone e’ molto piu’ somigliante ad un veleno e per noi cosi’ chi ti accompagna nel cammino l’ antidoto all’impossibilita’ di vivere.
Vedi, ora la mia vita e’ cosi’. Vivo con una persona dolce, che mi trasporta attraverso i giorni facendomi sentire il centro di qualcosa di vero. Ed e’ vero, vivo bene, vivo meglio. Lei mi rispetta e mi spinge a volare piu’ in alto non facendomi mai cadere e sembra che sia felice vedendoci volare insieme. La amo per questo.
Con te e’ diverso. E sarebbe tutto piu’ profondo ma doloroso. Nessuno si e’ mai aspettato, nessuno si e’ mai promesso il ritorno ma ora, ognuno nelle rispettive vite separate e distorte siamo come i binari di una ferrovia. Storti ma paralleli, senza piu’ la speranza di un incontro.
Per anni ho passato a cercarti tra la gente per cercare di sapere se ci saremmo mai reincrociati. Mi sono girato molte volte di scatto sul treno o sul metro’ perche’ sentivo il tuo profumo, sempre il tuo profumo come se fosse quella ultima notte, come se fosse quella maledetta estate. Qualcuno me l’aveva detto che se qualcosa di una donna mi avrebbe saputo ammazzare sarebbe stato il profumo. Era vero. Quella sera quando ci siamo rivisti avevo esattamente paura di ritrovare quell’identico profumo che mi avrebbe fatto precipitare fuori dalla mia vita. Sto tenendo duro. Cerco in te e dentro di me per non farmi perdere tutto. Li’ c’e’ la risposta che fa male. C’e’ il rischio di perdere quello che ho costruito per un abbaglio. Vorrei che non mi cercassi piu’: vorrei che tu non rispondessi piu’ come fai per continuare a pensare che tutto sia un angolo sporco della mia vita slegato da te. E questo angolo sta crescendo a dismisura. La persona che vive con me non merita questo perche’ e’ leale e il nostro rapporto cosi’ stabile e sereno e’ ovviamente logorato dalla quotidianita’ che ci chiede cosi’ tanto. E ogni giorno toglie a noi un po’ di noi. Questo fa parte del pacco: lo sapevo. E la voglia di uscire da questo e’ forse anche la paura di diventare adulti, di fare quelle scelte che non ti portano piu’ indietro.
Ma e’ inutile. Provo ancora affetto per te e sento che tu non hai trovato ancora l’antidoto dolce alla tua vita. E penso che non guardi giu’ dalle montagne mai ma guardi su come me, cercando piu’ il cielo della terra. Solo li’ ti senti libera di essere qualcosa che non riesci a raccontare a chi ti sta intorno. E ami sentire il sudore asciutto sulla pelle rinfrescata dal vento quando arrivi in cima ad un monte, e il sapore salato sulle labbra. Gli occhi quasi bruciano dal bagliore o forse dalla sete di tutto quello. Respiri di piu’, respiri solo allora. E il confine tra fuori e dentro perde definizione. E’ come se fossi li’ da sempre e ti senti viva, come se avessi di nuovo imparato a camminare di nuovo. Come se fossi l’unica ad avere capito cosa veramente conta. Se e’ cosi i nostri binari sono ancora paralleli.
Nel forno crescevano e si imbrunivano profumando le stanze e quelle piccole forme diventavano dei piccoli capolavori di arte che quasi faceva paura mangiarli.
Sono anche le vite delle persone cosi’? La forma originaria che ci siamo dati e’ veramente importante? E’ questa a dare il senso del ritorno, di casa? Sono ancora io, quello del liceo? bipolare romantico complessato 10 anni dopo? Non so, penserei di no. Mi sono sentito piu’ volte cresciuto di piu’ conoscendo gente nuova che portava nuovo oro nella mia esistenza ma ora che mi riguardo indietro rivedo me. Identico. La stessa forma ma con tutto l’aroma di avere imparato a conoscersi, rispettarsi e prendere cio’ che di buono c’e’ dentro e fuori me. Punto e basta. E tu, sei ancora li’? Sento che c’e’ qualcosa che e’ rimasto: la nostra forma originale. Il modo di guardare le cose, quel modo cosi’ profondo e doloroso, una sensibilita’ tagliente del fatto che niente torna piu’ e ogni giorno ha un sapore piu’ amaro. Bastera’ sapere questo per riuscire ad evitare di ricercarsi? Non e’ mai vero che chi assomiglia si piglia. Il destino della vita delle persone e’ molto piu’ somigliante ad un veleno e per noi cosi’ chi ti accompagna nel cammino l’ antidoto all’impossibilita’ di vivere.
Vedi, ora la mia vita e’ cosi’. Vivo con una persona dolce, che mi trasporta attraverso i giorni facendomi sentire il centro di qualcosa di vero. Ed e’ vero, vivo bene, vivo meglio. Lei mi rispetta e mi spinge a volare piu’ in alto non facendomi mai cadere e sembra che sia felice vedendoci volare insieme. La amo per questo.
Con te e’ diverso. E sarebbe tutto piu’ profondo ma doloroso. Nessuno si e’ mai aspettato, nessuno si e’ mai promesso il ritorno ma ora, ognuno nelle rispettive vite separate e distorte siamo come i binari di una ferrovia. Storti ma paralleli, senza piu’ la speranza di un incontro.
Per anni ho passato a cercarti tra la gente per cercare di sapere se ci saremmo mai reincrociati. Mi sono girato molte volte di scatto sul treno o sul metro’ perche’ sentivo il tuo profumo, sempre il tuo profumo come se fosse quella ultima notte, come se fosse quella maledetta estate. Qualcuno me l’aveva detto che se qualcosa di una donna mi avrebbe saputo ammazzare sarebbe stato il profumo. Era vero. Quella sera quando ci siamo rivisti avevo esattamente paura di ritrovare quell’identico profumo che mi avrebbe fatto precipitare fuori dalla mia vita. Sto tenendo duro. Cerco in te e dentro di me per non farmi perdere tutto. Li’ c’e’ la risposta che fa male. C’e’ il rischio di perdere quello che ho costruito per un abbaglio. Vorrei che non mi cercassi piu’: vorrei che tu non rispondessi piu’ come fai per continuare a pensare che tutto sia un angolo sporco della mia vita slegato da te. E questo angolo sta crescendo a dismisura. La persona che vive con me non merita questo perche’ e’ leale e il nostro rapporto cosi’ stabile e sereno e’ ovviamente logorato dalla quotidianita’ che ci chiede cosi’ tanto. E ogni giorno toglie a noi un po’ di noi. Questo fa parte del pacco: lo sapevo. E la voglia di uscire da questo e’ forse anche la paura di diventare adulti, di fare quelle scelte che non ti portano piu’ indietro.
Ma e’ inutile. Provo ancora affetto per te e sento che tu non hai trovato ancora l’antidoto dolce alla tua vita. E penso che non guardi giu’ dalle montagne mai ma guardi su come me, cercando piu’ il cielo della terra. Solo li’ ti senti libera di essere qualcosa che non riesci a raccontare a chi ti sta intorno. E ami sentire il sudore asciutto sulla pelle rinfrescata dal vento quando arrivi in cima ad un monte, e il sapore salato sulle labbra. Gli occhi quasi bruciano dal bagliore o forse dalla sete di tutto quello. Respiri di piu’, respiri solo allora. E il confine tra fuori e dentro perde definizione. E’ come se fossi li’ da sempre e ti senti viva, come se avessi di nuovo imparato a camminare di nuovo. Come se fossi l’unica ad avere capito cosa veramente conta. Se e’ cosi i nostri binari sono ancora paralleli.
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