Era da tanto che volevo scrivere questo post.
Questa estate siamo andati a locarno a lanciarci col paracadute in tandem coll'istruttore. Non avevo voluto farlo per molto tempo poi un giorno mi sono alzato e ho capito che qualcosa era cambiato e che desideravo farlo. Era una delle ultime giornate belle dell'estate. Una assolata domenica di settembre. Eravamo straeccitati. G non aveva dormito tutta notte. I parenti stretti erano chiaramente all'oscuro.
Appena parcheggiammo vedremmo proiettarsi sopra di noi una ombra veloce e densa: erano i ragazzi che si lanciavano prima di noi. Scivolavano nell'aria e da vicino facevano un rumore di fruscio cupo. Ora non c'e' molto da dire. Non c'e' stata paura.
Quando il portellone si apri' il rumore dell'aria che fendeva il piccolo aereo e del suo motore era una specie di sordo ululato. Pochi secondi : dopo il silenzio.
Come sassi.
In caduta libera.
Come la storia. Come i desaparecidos in argentina. Come i soldati in vietnam. Come i pacchi di aiuto lanciati in africa. Come uccelli. Qualcosa di incredibile ed osceno lega l'uomo alla sua morte come se anche in quel momento di pericolo assoluto ci fosse la bellezza ad accecare la paura. Non sono mai stato cosi' vivo. Come se una verita' superiore e privata venisse a bussare per chiederti dove eri stato fino ad allora.
Non so dove sono stato fino ad ora. Mi sono perso nelle pieghe del destino. Sono rimasto intrappolato. Scusa, non volevo. Ora dove si va'? E' vero che il viaggio e' appena cominciato? Devo decidere io? Ah, si , il viaggio e' il mio...
venerdì 28 dicembre 2007
Il Natale e' un sacco vuoto
Alla radio non se ne puo' piu' delle canzoni di natale veramente. Mi e' sembrato di giungere al giorno della vigilia come se tutto fosse stato consumato e svuotato. I negozi, le gastronomie, le librerie, le canzoni e il significato che porta dentro hanno lasciato a secco il sacco di santa claus e i miei pensieri. Era tanto che non scrivevo. Funziona cosi. Ci sono periodi come una morsa che stritola tutto: emozioni, passioni desideri si seccano, cadono nel secchio e buonanotte. Un apnea dei sentimenti.
Non mi incazzo neache piu' per le cose che mi devono fare incazzare. Tipo che e' quattro anni che organizzo il capodanno per tutta la cumpa e 'sti stronzi ( salvo 2, i veri amici, ma di questo non c'era dubbio ) non si sono neanche vagamente preoccupati di organizzare qualcosa loro quest'anno che non potevo farlo io. Men che meno di invitarmi ai loro festini privati. Affanculo.
Ma non e' un problema. Non lo e' da un po', fortunatamente. Prima invece avrei dato fuori di testa. Gli auguri per natale con il rimasuglio della cumpa e' stato di una desolazione infinita. Ci siamo incontrati ad un bar freddo come un mattatoio con il marito fresco fresco di M che non ci ha manco cagato, tutto preso a tenere le PR con i suoi attempati amici evidenti fruitori di prostituzione minorile. Ci si incontra alle 22.15 prima della messa dell'ultimo. Giusto un orettina, perche' non c'e' niente da dirsi. L'imbarazzo la fa da padrone. E si che tutti hanno una vita affollata di cose che nessuno vuole raccontarsi. Ok. bellali'. Altrettanto a voi.
Pero' il natale sta arrivando. E non sei mai pronto. E ora ho capito.
Entro in una chiesa e trovo l'unico posto di fianco ad un ragazzo disabile. Perde muco dalla bocca, dal naso. Fa rumori, fa il verso al prete. Tutti guardano.
Si, Fabio, diglielo tu. Non c'e' niente da guardare. Se tu volessi esercitare la liberta' che ti senti addosso certo non ti limiteresti a questo, mi sembra evidente.
E diglielo a tutte le signore con le pellicce al sapore di canfora, e a tutti i signori col pelo argentato e la barba fatta di fresco : il natale e' esattamente liberta'. Un bambino, per rompere la consuetudine, e' stato deposto in una mangiatoia e certo si sarebbe meritato di piu'. Avrebbe cambiato il mondo: avrebbe spiegato a tutti che esiste un modo per vivere tutti e bene. Amarsi e' il modo difficile di essere vivi e di fare valere la vita stessa. Non importa che sei cristiano, buddista, etc... l'amore e' il significato ed e' incredibile come Dio abbia creato noi, macchine perfette, meccanismi biologici eccezionali ma questa cosa proprio non ce la poteva mettere dentro nel dna. Sarebbe stato inutile e la nostra vita non avrebbe avuto senso se il senso della vita ci fosse noto. Ma la sua ricerca e' il sale. La nostra capacita' di scegliere e' il pane. Buon natale Fabio.
Non mi incazzo neache piu' per le cose che mi devono fare incazzare. Tipo che e' quattro anni che organizzo il capodanno per tutta la cumpa e 'sti stronzi ( salvo 2, i veri amici, ma di questo non c'era dubbio ) non si sono neanche vagamente preoccupati di organizzare qualcosa loro quest'anno che non potevo farlo io. Men che meno di invitarmi ai loro festini privati. Affanculo.
Ma non e' un problema. Non lo e' da un po', fortunatamente. Prima invece avrei dato fuori di testa. Gli auguri per natale con il rimasuglio della cumpa e' stato di una desolazione infinita. Ci siamo incontrati ad un bar freddo come un mattatoio con il marito fresco fresco di M che non ci ha manco cagato, tutto preso a tenere le PR con i suoi attempati amici evidenti fruitori di prostituzione minorile. Ci si incontra alle 22.15 prima della messa dell'ultimo. Giusto un orettina, perche' non c'e' niente da dirsi. L'imbarazzo la fa da padrone. E si che tutti hanno una vita affollata di cose che nessuno vuole raccontarsi. Ok. bellali'. Altrettanto a voi.
Pero' il natale sta arrivando. E non sei mai pronto. E ora ho capito.
Entro in una chiesa e trovo l'unico posto di fianco ad un ragazzo disabile. Perde muco dalla bocca, dal naso. Fa rumori, fa il verso al prete. Tutti guardano.
Si, Fabio, diglielo tu. Non c'e' niente da guardare. Se tu volessi esercitare la liberta' che ti senti addosso certo non ti limiteresti a questo, mi sembra evidente.
E diglielo a tutte le signore con le pellicce al sapore di canfora, e a tutti i signori col pelo argentato e la barba fatta di fresco : il natale e' esattamente liberta'. Un bambino, per rompere la consuetudine, e' stato deposto in una mangiatoia e certo si sarebbe meritato di piu'. Avrebbe cambiato il mondo: avrebbe spiegato a tutti che esiste un modo per vivere tutti e bene. Amarsi e' il modo difficile di essere vivi e di fare valere la vita stessa. Non importa che sei cristiano, buddista, etc... l'amore e' il significato ed e' incredibile come Dio abbia creato noi, macchine perfette, meccanismi biologici eccezionali ma questa cosa proprio non ce la poteva mettere dentro nel dna. Sarebbe stato inutile e la nostra vita non avrebbe avuto senso se il senso della vita ci fosse noto. Ma la sua ricerca e' il sale. La nostra capacita' di scegliere e' il pane. Buon natale Fabio.
martedì 18 settembre 2007
E.
Ho sempre avuto la banale tendenza ad idealizzare le persone che penso abbiano una mente eccezionale ed E. e’ una di queste. Contro tutti, venendo da lontano, ha caparbiamente contestato tutto quello e’ stato fatto prima con una violenza ed una convinzione fuori dal comune, guadagnandosi la fama del piu’ duro dei duri. In 5 anni ha sovvertito una intera comunita’ scientifica e l’ha prostrata a se, diventando l’unico portatore della verita’. E’ stato pubblicamente detto che non era piu’ il tempo di fare le cose come prima e che per i prossimi 20 anni tutto quello che c’era da fare era farina del suo sacco.
Anche io sono venuto da lontano con la mente. Senza preconcetti, senza paura ho portato in casa sua la mia piccola opinione, la mia prospettiva sulla natura che nasceva dalla sua. A meta’ della mia presentazione nacque l’inferno. Lui si alzo’ e comincio’ ad urlare paralizzando la platea e io rimasi per attimi interminabili bloccato da una frustrazione indicibile. Ero li anche per dirgli che avevo capito il suo modo di vedere le cose e che io l’avrei detto a mio modo cosi’. Si arrivo’ al punto che il chairman interruppe la seduta e lo obbligo’ a farmi finire. In qualche modo.
Ci sono attimi in cui si ha paura e si vorrebbe scoprire che tutto questo non e’ altro che un incubo. Come quando si sogna di essere all’esame per cui non si ha studiato o quando si sogna di cadere nel vuoto. In quegli attimi il corpo reagisce e ti riporta nelle coperte perche’ non sopporteresti tanto. Il corpo in quell’attimo non mi porto’ mai indietro perche’ la realta’ era proprio quella ed ero obbligato a finire. In qualche modo.
Mesi dopo rieccoci. Questa volta su un banchetto a Bruxelles per mostrargli le mie ultime cazzate. Lui e’ come al solito. Quasi simpatico se preso nel modo giusto ma arrogante e incalzante se si parla di lavoro. Le occhiaie gli sono evidenti. Parla veloce con inglese accentato alla francese e vuole carta e penna per manifestare la sua capacita’ di dimostrare matematicamente tutto. Quando scrive noto che la sua piccola mano sinstra atrofica e’ deforme. E carica di cicatrici antiche ma evidenti.
G. me l’aveva detto che i bambini che nascono con le manine atrofiche sono destinati ad una vita da incubo fuori e dentro dalla sala operatoria. Alta macelleria. Per rompere le ossa e risaldarle, bloccarle in posizioni innaturali perche’ almeno possano fungere da stupide pinze. Pinze dalle mani. E dolore nelle ossa sempre, che non ti lascia dormire. Garze, sangue rappreso e vergogna. E non riuscire neanche ad allacciarsi le scarpe. Cosi’ forse hai attraversato anni bui a cercare il riscatto contro chi di mani ne ha due e non usa il cervello. Per mostrare e schiacciare la differenza. E ora di strada ne hai fatta e sei qui. Io e le grida contro di me siamo solo tasselli di qualcosa di complicato che non capisco fino infondo. Che e’ ingiusto ma umano. E’ forse per questo meno ingiusto? Non so. Non credo.
Io non avevo astio, e ti ascoltavo perche’ per me sei un mito, forse oggi piu’ umano. Alla fine ci siamo fatti due risate. Mi hai anche offerto un lavoro a NY. Come se stessi tendendomi la mano.
Anche io sono venuto da lontano con la mente. Senza preconcetti, senza paura ho portato in casa sua la mia piccola opinione, la mia prospettiva sulla natura che nasceva dalla sua. A meta’ della mia presentazione nacque l’inferno. Lui si alzo’ e comincio’ ad urlare paralizzando la platea e io rimasi per attimi interminabili bloccato da una frustrazione indicibile. Ero li anche per dirgli che avevo capito il suo modo di vedere le cose e che io l’avrei detto a mio modo cosi’. Si arrivo’ al punto che il chairman interruppe la seduta e lo obbligo’ a farmi finire. In qualche modo.
Ci sono attimi in cui si ha paura e si vorrebbe scoprire che tutto questo non e’ altro che un incubo. Come quando si sogna di essere all’esame per cui non si ha studiato o quando si sogna di cadere nel vuoto. In quegli attimi il corpo reagisce e ti riporta nelle coperte perche’ non sopporteresti tanto. Il corpo in quell’attimo non mi porto’ mai indietro perche’ la realta’ era proprio quella ed ero obbligato a finire. In qualche modo.
Mesi dopo rieccoci. Questa volta su un banchetto a Bruxelles per mostrargli le mie ultime cazzate. Lui e’ come al solito. Quasi simpatico se preso nel modo giusto ma arrogante e incalzante se si parla di lavoro. Le occhiaie gli sono evidenti. Parla veloce con inglese accentato alla francese e vuole carta e penna per manifestare la sua capacita’ di dimostrare matematicamente tutto. Quando scrive noto che la sua piccola mano sinstra atrofica e’ deforme. E carica di cicatrici antiche ma evidenti.
G. me l’aveva detto che i bambini che nascono con le manine atrofiche sono destinati ad una vita da incubo fuori e dentro dalla sala operatoria. Alta macelleria. Per rompere le ossa e risaldarle, bloccarle in posizioni innaturali perche’ almeno possano fungere da stupide pinze. Pinze dalle mani. E dolore nelle ossa sempre, che non ti lascia dormire. Garze, sangue rappreso e vergogna. E non riuscire neanche ad allacciarsi le scarpe. Cosi’ forse hai attraversato anni bui a cercare il riscatto contro chi di mani ne ha due e non usa il cervello. Per mostrare e schiacciare la differenza. E ora di strada ne hai fatta e sei qui. Io e le grida contro di me siamo solo tasselli di qualcosa di complicato che non capisco fino infondo. Che e’ ingiusto ma umano. E’ forse per questo meno ingiusto? Non so. Non credo.
Io non avevo astio, e ti ascoltavo perche’ per me sei un mito, forse oggi piu’ umano. Alla fine ci siamo fatti due risate. Mi hai anche offerto un lavoro a NY. Come se stessi tendendomi la mano.
domenica 26 agosto 2007
Un'estate piu' luminosa
Ho perso gli occhiali da sole a maggio e non li ho piu’ cercati. Ho pensato che per quest’anno potevo lasciare i colori dell’estate invadermi cosi’ come sono, senza barriere, senza protezioni. E’ strano come i miei occhi, fatti per vedere la natura cosi’ come e’ non fossero piu’ pronti per questo e all’inizio facevano male. Ma non e’ giusto, pensai. Devo riabituarmi ed ora, dopo una estate cosi’ penso che il mondo sia piu’ luminoso di come l’avevo pensato e voluto per molto tempo. Ci sono ancora quei colori di quando ero bimbo. Li vedo passando con la macchina oggi, domenica, mentre vado a lavoro a mezzogiorno. Il caldo colore giallo dei muri dei cortili e la polvere di terra riarsa sono ancora vive e accecano ancora come allora. Il sole era caldo e premeva sulle nostre piccole teste, uno sciame di bimbi alle prese con bici, pallone e cantine buie da esplorare. Ricordo distintamente l’odore dell’asfalto caldo alle due del pomeriggio e io seduto sui gradini della soglia di casa con le mie montagne di lego riverse in piazza. Gli alberi erano frondosi e c’erano poche, veramente poche macchine in giro ad agosto. La nostra cricca era incredibilmente assortita. C’erano i figli degli abusivi nella ex casa del fascio con cui dividevo i pidocchi e che mi fregavano i mattoncini. Le loro case erano grandi e fatiscenti, vivevano in dieci tutti in soggiorno e c’era sempre dentro un odore di minestrone andato a male. I loro destini non li hanno perdonati e molti di loro hanno fatto fuori e dentro dal carcere, qualcuno invece ha fatto fuori e dentro da un ospedale. Braccia e piedi bucati. Di loro qualcuno non e’ piu’ uscito ne dall’uno, ne dall’altro. Negli anni 80 il riscatto sociale era ancora impossibile. C’erano S. e V. il cui padre- si sarebbe scoperto poi- era un noto spacciatore. Un giorno loro madre porto’ i due bimbi dalla zia e chiamo’ i carabinieri che lo vennero a prendere con cinque macchine . Loro seppero solo che il padre dovette andare improvvisamente a lavorare in sicilia. Dieci anni piu’ tardi lo recapitarono a casa in totale stato confusionale e fu evidente che le cose erano andate diversamente. E. era la mia amica del cuore. Le volevo bene. La prima curiosita’ per il sesso sotto il mio letto. Eta’ 6 anni. Non ne parlammo mai piu’ una volta grandi, non ne potremo mai piu’ parlare. La strada se la e’ portata via una notte umida. Speravo per lei grandi cose, era la sorella che non ho mai avuto e i nostri genitori ci hanno cresciuto proprio cosi’, come fratello e sorella. Aspettavamo nella neve l’autobus di T. per l’asilo. Piccoli fagotti nei primi piumini plasticati marca stratos presi al mercato. Eravamo i primi a salirvi sempre ai primi due posti. E suor I. ci dava delle caramelle al miele con l’immagine del dolce Remi’. I suoi lavoretti sul cartoncino col punteruolo erano sempre migliori dei miei. Un piccolo caldo pensiero per lei, ora.
Tutto questo lo ritrovo ora ed e’ un piccolo tesoro prezioso da accudire. Ci sono cose, profumi, colori che non si lavano via e sono la traccia indelebile del vissuto. Amo tutta questa tavolozza dolce e amara. E’ il colore di cui siamo sporchi, che ci portiamo addosso come piccole macchie sulla camicia che solo gli altri notano. A nostra volta, in ogni viaggio in treno, in ogni stretta di mano seminiamo le tracce del nostro mondo e propaghiamo la memoria delle esperienze che piu’ ci hanno segnato, nel bene nel male. Ti ho gia’ ferito piu’ volte con la stessa cattiveria con cui quelle voci fuori dalla camera mi ferivano e spaventavano. E’ il solo modo che conosco e ti chiedo scusa. Ti ho accarezzato con il palmo rivolto perche’ e’ la forma della dolcezza che io conosco ma ti ho sempre comprato mille cose che ti piacciono quando ho fatto la spesa perche’ e’ stato il modo segreto dell’amore in casa mia. E non ti ho mai detto quanto sei importante perche’ non ho mai sentito nessuno dirlo in un modo che vorrei potere usare.
Tutto questo lo ritrovo ora ed e’ un piccolo tesoro prezioso da accudire. Ci sono cose, profumi, colori che non si lavano via e sono la traccia indelebile del vissuto. Amo tutta questa tavolozza dolce e amara. E’ il colore di cui siamo sporchi, che ci portiamo addosso come piccole macchie sulla camicia che solo gli altri notano. A nostra volta, in ogni viaggio in treno, in ogni stretta di mano seminiamo le tracce del nostro mondo e propaghiamo la memoria delle esperienze che piu’ ci hanno segnato, nel bene nel male. Ti ho gia’ ferito piu’ volte con la stessa cattiveria con cui quelle voci fuori dalla camera mi ferivano e spaventavano. E’ il solo modo che conosco e ti chiedo scusa. Ti ho accarezzato con il palmo rivolto perche’ e’ la forma della dolcezza che io conosco ma ti ho sempre comprato mille cose che ti piacciono quando ho fatto la spesa perche’ e’ stato il modo segreto dell’amore in casa mia. E non ti ho mai detto quanto sei importante perche’ non ho mai sentito nessuno dirlo in un modo che vorrei potere usare.
martedì 21 agosto 2007
Il venticinquesimo chilometro.
Il corpo non sa dire di no. La volonta’ tiene. E’ facile arrivare alla fine cosi’. Intorno nulla e nessuno. il venticinquesimo chilometro ha un sapore dolce. Non c’entra l’eroismo del gesto. Domani non andro’ a bullarmi in ufficio. Non l’ho mai fatto per non mettere l’interlocutore in una posizione senza scampo, in cieca ammirazione (almeno dovrebbe) del coraggio, il tutto solo per cortesia.
Invece questo sapore e’ dolce e va’ condiviso. Potrei piuttosto raccontare di essere stato in un posto solitario dove le emozioni del corpo e dell’anima convergono. Sono pulito nel venticinquesimo chilometro e mi sembra di lavare col sudore le mie frustrazioni. Quell’articolo che non parte per l’ignoranza d’oltreoceano e’ una pagina a colori grondante inchiostro ma niente piu’. Non c’e’ rabbia ne’ rassegnazione. Un passo dietro l’altro, le mie scarpette bianche e rosse feriscono questo asfalto. Controllo ora il mio passo per renderlo silenzioso e morbido e non spaventare la natura del sogno. Da sopra il lago appare uno squarcio di sole a scaldare l’ultimo scampolo d’estate che mi sento di bere. Non e’ stata una domenica eccezionale. Ho lavorato per recuperare alle mancanze di altri, servira’ mai? Poi ho mangiato del riso avanzato freddo di frigo e subito ancora a lavorare forte. G. e’ tornata a casa e si e’ addormentata sotto le coperte durante il temporale. Io la guardavo da dietro lo schermo del computer e pensavo che quello che facevo per qualche motivo era anche per lei. Poi ha smesso di piovere ed eccomi qui. Cerco di ordinare i pensieri di una settimana. A. e’ andata in ferie e ho tante cose da fare per lei, per l’affetto che provo verso la prima persona a cui ho potuto trasmettere quello che ho imparato e creato. In ufficio poca gente e comincio ad avere la strana sensazione di essermi perso un po’ di vita a non andare via anche io. Anche la chat e’ muta e non controllo neanche piu’ che dall’altra parte ci sia qualcuno che abbia voglia di comunicarmi qualcosa. E che quel qualcosa mi faccia cambiare tutto come uno squarcio nell’insoddisfazione. L’unico diversivo e’ un caffe’ amaro cinque volte al giorno per darsi botta. Ma ora, qui tra questi colori non sento il peso di tutto cio’. Un giorno volero’ anche io lontano dalle mie ossessioni e persecuzioni tra questi alberi, accarezzando queste montagne di granito come in un volo. Non pensero’ che casa non e’ casa e che c’e’ una altra persona diversa da quella che io vivo con la quale dividere il pane. Il venticinquesimo chilometro e’ una specie di fuga dalla realta’. Godo un po’ dell’egoismo di riprendermi il mio tempo, lievemente narcotizzato dalla fatica. La pelle si raffredda e l’asfalto diventa scuro. Arrivare in fondo mi insegnera’ cosa non ho ancora imparato ? Dare tutto nella vita vera, non mollare tutto all’ultimo metro come ha fatto C.? Ad un passo dalla conclusione si e’ bruciata tutto, ha cacciato fuori il mondo dalla finestra e sputato in faccia a noi che abbiamo provato ad aiutarla, semplicemente per completare l’autodistruzione che da anni ha propagato. Con una mail ha sprecato la sua fellowship della Royal Society che l’aveva portata piena di speranze dalla Spagna ad Oxford. Perche’? Forse lo posso immaginare: anche lei non dorme la notte e coltiva il suo segreto dolore come un orticello di primizie. La sua casa e’ in ordine perfetto: si capisce che se cade una foglia per terra puo’ crollare il mondo. Ora sono gli ultimi metri, vedo gia’ la fontana. Rallento il passo. Sono arrivato. Sono felice.
Invece questo sapore e’ dolce e va’ condiviso. Potrei piuttosto raccontare di essere stato in un posto solitario dove le emozioni del corpo e dell’anima convergono. Sono pulito nel venticinquesimo chilometro e mi sembra di lavare col sudore le mie frustrazioni. Quell’articolo che non parte per l’ignoranza d’oltreoceano e’ una pagina a colori grondante inchiostro ma niente piu’. Non c’e’ rabbia ne’ rassegnazione. Un passo dietro l’altro, le mie scarpette bianche e rosse feriscono questo asfalto. Controllo ora il mio passo per renderlo silenzioso e morbido e non spaventare la natura del sogno. Da sopra il lago appare uno squarcio di sole a scaldare l’ultimo scampolo d’estate che mi sento di bere. Non e’ stata una domenica eccezionale. Ho lavorato per recuperare alle mancanze di altri, servira’ mai? Poi ho mangiato del riso avanzato freddo di frigo e subito ancora a lavorare forte. G. e’ tornata a casa e si e’ addormentata sotto le coperte durante il temporale. Io la guardavo da dietro lo schermo del computer e pensavo che quello che facevo per qualche motivo era anche per lei. Poi ha smesso di piovere ed eccomi qui. Cerco di ordinare i pensieri di una settimana. A. e’ andata in ferie e ho tante cose da fare per lei, per l’affetto che provo verso la prima persona a cui ho potuto trasmettere quello che ho imparato e creato. In ufficio poca gente e comincio ad avere la strana sensazione di essermi perso un po’ di vita a non andare via anche io. Anche la chat e’ muta e non controllo neanche piu’ che dall’altra parte ci sia qualcuno che abbia voglia di comunicarmi qualcosa. E che quel qualcosa mi faccia cambiare tutto come uno squarcio nell’insoddisfazione. L’unico diversivo e’ un caffe’ amaro cinque volte al giorno per darsi botta. Ma ora, qui tra questi colori non sento il peso di tutto cio’. Un giorno volero’ anche io lontano dalle mie ossessioni e persecuzioni tra questi alberi, accarezzando queste montagne di granito come in un volo. Non pensero’ che casa non e’ casa e che c’e’ una altra persona diversa da quella che io vivo con la quale dividere il pane. Il venticinquesimo chilometro e’ una specie di fuga dalla realta’. Godo un po’ dell’egoismo di riprendermi il mio tempo, lievemente narcotizzato dalla fatica. La pelle si raffredda e l’asfalto diventa scuro. Arrivare in fondo mi insegnera’ cosa non ho ancora imparato ? Dare tutto nella vita vera, non mollare tutto all’ultimo metro come ha fatto C.? Ad un passo dalla conclusione si e’ bruciata tutto, ha cacciato fuori il mondo dalla finestra e sputato in faccia a noi che abbiamo provato ad aiutarla, semplicemente per completare l’autodistruzione che da anni ha propagato. Con una mail ha sprecato la sua fellowship della Royal Society che l’aveva portata piena di speranze dalla Spagna ad Oxford. Perche’? Forse lo posso immaginare: anche lei non dorme la notte e coltiva il suo segreto dolore come un orticello di primizie. La sua casa e’ in ordine perfetto: si capisce che se cade una foglia per terra puo’ crollare il mondo. Ora sono gli ultimi metri, vedo gia’ la fontana. Rallento il passo. Sono arrivato. Sono felice.
giovedì 16 agosto 2007
Crysalide
Erano sere d’estate amare, quelle.
Niente poteva bastare.
Le prove erano a Milano, un bel pezzo di strada. Di notte, stracciato dopo due ore di adrenalina a mani rotte tornavo da Lei. La superstrada era una lotta contro il sonno, ipnotizzato come ero dalla cadenza della luce dei lampioni. Ho rischiato del mio, lo so. Come quella sera che mi sono addormentato a volante e mi sono risvegliato oramai diretto a tutta velocita’ in culo ad un fuoristrada. Macchina distrutta. Quando arrivavo da lei c’era poco da fare o dire. Mi addormentavo e venivo cacciato via a casa mia dove il letto l’avevo ed era fatto per dormire.
Sulla strada di casa avveniva il cambiamento. Mi svegliavo e avevo sete. Cambiavo direzione. Giravo verso casa tua e passavo sotto la tua finestra. Non seppi mai cio’ che cercavo. Passavo e sbirciavo oltre le persiane in un passato che bruciava. Non ho mai capito se speravo che tu fossi li fuori e potessi notare che ero io in quella macchina. E anche se cosi’, cosa sarebbe potuto cambiare? Cosa mai avrei saputo dire? Niente mi dette mai una risposta ma passai mesi cosi’.
Poi tutto peggioro’: mi trovavo in camera nel cuore della notte con l’istinto di venire sotto casa tua. Prendevo la macchina e partivo. Musica a palla e urlavo per sfogarmi. Sono passati inverni sordi di neve e la tua finestra smise di essere illuminata. L’ultimo flebile legame di realta’ comune, io da una parte del vetro e tu da quell’altra, venne meno.
Non so se veramente la tua finestra potesse mai celare la risposta alla mia inquietudine perche’ tua o per il semplice fatto di essere lontana e irraggiungibile. Ho sempre avuto bisogno nella mia vita di quella cosa che manca. Una ricerca continua di qualcosa che non c’e’. Forse e’ perche’ le persone che non hanno problemi se li vanno sempre a cercare, forse perche’ la vita senza il desiderio e’ un contenitore vuoto e non risuona di nessuna musica. Trattenere il desiderio e’ inumano e sempre andrebbe vissuto con gli slanci adolescenziali che spingono le persone a fare quello che mai farebbero. Non si spiegherebbe altrimenti come sia mai possibile scrivere una canzone, dipingere un quadro, inventare poesie e scalare montagne. Vorrei sempre vivere con questo istinto irrefrenabile di consumarsi nell’essere. Tutti i giorni. Con la disciplina di un kamikaze, dentro la mia piccola crisalide c’e’ tutto questo. Devo tenere duro e non farlo morire mai. Correre fino alla fine: non per fuggire ma per rincorrere qualcosa. Vorrei non essere il solo a sentire questo e penso di non esserlo ma nessuno si sente pronto a condividere la propria intima attitudine alla vita per non autodistruggere il proprio piccolo mondo, piccola crisalide protetta.
Questo e’ il paradosso che mi trascino dentro. Ho costruito una vita perfetta di felicita’ precarie che ho mantenuto per non dovere buttare via sempre tutto. Dover viaggiare a cuore aperto non lascia scampo mai e anche ora che l’istinto e’ piu’ forte non mi sento pronto. Penso che ad un certo punto il destino mi verra’ a prendere e spazzera’ via tutto questo mettendomi a nudo, facendomi ricostruire da capo la mia piccola crisalide adattata a questo nuovo io.
Niente poteva bastare.
Le prove erano a Milano, un bel pezzo di strada. Di notte, stracciato dopo due ore di adrenalina a mani rotte tornavo da Lei. La superstrada era una lotta contro il sonno, ipnotizzato come ero dalla cadenza della luce dei lampioni. Ho rischiato del mio, lo so. Come quella sera che mi sono addormentato a volante e mi sono risvegliato oramai diretto a tutta velocita’ in culo ad un fuoristrada. Macchina distrutta. Quando arrivavo da lei c’era poco da fare o dire. Mi addormentavo e venivo cacciato via a casa mia dove il letto l’avevo ed era fatto per dormire.
Sulla strada di casa avveniva il cambiamento. Mi svegliavo e avevo sete. Cambiavo direzione. Giravo verso casa tua e passavo sotto la tua finestra. Non seppi mai cio’ che cercavo. Passavo e sbirciavo oltre le persiane in un passato che bruciava. Non ho mai capito se speravo che tu fossi li fuori e potessi notare che ero io in quella macchina. E anche se cosi’, cosa sarebbe potuto cambiare? Cosa mai avrei saputo dire? Niente mi dette mai una risposta ma passai mesi cosi’.
Poi tutto peggioro’: mi trovavo in camera nel cuore della notte con l’istinto di venire sotto casa tua. Prendevo la macchina e partivo. Musica a palla e urlavo per sfogarmi. Sono passati inverni sordi di neve e la tua finestra smise di essere illuminata. L’ultimo flebile legame di realta’ comune, io da una parte del vetro e tu da quell’altra, venne meno.
Non so se veramente la tua finestra potesse mai celare la risposta alla mia inquietudine perche’ tua o per il semplice fatto di essere lontana e irraggiungibile. Ho sempre avuto bisogno nella mia vita di quella cosa che manca. Una ricerca continua di qualcosa che non c’e’. Forse e’ perche’ le persone che non hanno problemi se li vanno sempre a cercare, forse perche’ la vita senza il desiderio e’ un contenitore vuoto e non risuona di nessuna musica. Trattenere il desiderio e’ inumano e sempre andrebbe vissuto con gli slanci adolescenziali che spingono le persone a fare quello che mai farebbero. Non si spiegherebbe altrimenti come sia mai possibile scrivere una canzone, dipingere un quadro, inventare poesie e scalare montagne. Vorrei sempre vivere con questo istinto irrefrenabile di consumarsi nell’essere. Tutti i giorni. Con la disciplina di un kamikaze, dentro la mia piccola crisalide c’e’ tutto questo. Devo tenere duro e non farlo morire mai. Correre fino alla fine: non per fuggire ma per rincorrere qualcosa. Vorrei non essere il solo a sentire questo e penso di non esserlo ma nessuno si sente pronto a condividere la propria intima attitudine alla vita per non autodistruggere il proprio piccolo mondo, piccola crisalide protetta.
Questo e’ il paradosso che mi trascino dentro. Ho costruito una vita perfetta di felicita’ precarie che ho mantenuto per non dovere buttare via sempre tutto. Dover viaggiare a cuore aperto non lascia scampo mai e anche ora che l’istinto e’ piu’ forte non mi sento pronto. Penso che ad un certo punto il destino mi verra’ a prendere e spazzera’ via tutto questo mettendomi a nudo, facendomi ricostruire da capo la mia piccola crisalide adattata a questo nuovo io.
giovedì 9 agosto 2007
Sembra cosi' difficile
Io sono qui a vivere una notte lunga di lavoro duro, senza riposo, senza tregua e che sottrae al mio tempo migliore la forza e l'energia.
A cento chilometri di distanza stai tu, cara amica.
Speri che dalla porta entri il tuo nuovo motivo per continuare a sognare.
Una sera fredda e un po' di vino potrebbero regalarti un caldo abbraccio davanti ad un film giusto, con una persona giusta.
Non mi sembrano le nostre strade poi cosi' distanti.
E' vivere alla goccia, sempre.
Io, tra i miei mucchi di carta, le penne che non funzionano, i souvenir di ospiti lontani, tazze sporche e profumo di caffe' riempio le pagine con qualcosa che dice un po' di me. E cerco di spiegare che il mio mondo ha diritto di esistere, con le corde che collegano le molecole al loro destino di immutabiita' perfetta. E le superfici morbide che queste percorrono spiegano un piccolo frammento del segreto immenso della natura. Parte di quello che e' piu' importante lo sappiamo da sempre ma non ci sono parole per spiegarlo. Cerco nel mio piccolo di dare questo a chi incontro. Cerco di creare una rete di persone amiche che si fidino di me e che credono nelle stesse cose che credo io. L'eccezionalita' di scoprire come la natura ha imparato e ci ha plasmato e' un miracolo che costa fatica ma che vale la pena. Anche se mille cose non vanno, mille tentativi falliscono, tutto questo ci lega di piu'. Qui e ora io vivo questo fino all'ultima goccia di forza.
E' possibile che ora tu abbia finito di lavare i piatti di una cena semplice ma curata, sistemi la cucina e ti asciughi le mani. Il film e' gia' quasi iniziato ma vai a chiudere la finestra perche' quella brezza che arriva da ovest entra in casa e ferisce quasi questa perfezione. Arriva da qui, da dove sono io che ti penso e ti sorrido. Ti siedi sul divano e ti lasci incoraggiare. Apri il tuo cuore, le ultime luci del giorno scompaiono. Spegni la luce e preferisci quella calda di un vecchio abat-jour.
Ora guardi lui intensamente senza che si accorga: potrebbe essere l'inizio di una pagina nuova, pensi. Speri che non dica nulla ancora per qualche minuto e si accorga che e' tutto perfetto e potrebbe diventare anche suo.
Decidi di lasciarti un po' di piu' e il tuo fianco poggia ora sul suo corpo e ne senti il calore. Un buon inizio. Speriamo solo l'inizio.
Sembra tutto cosi' difficile prima di essere dentro le cose, ma la mia ricerca di qualcosa dentro di me e fuori di me sulla carta,tra questi tasti una volta che sono qui e' una specie di ondata irrefrenabile, dolce e gentile che mi porta dentro la notte. E cosi' forse per te? Tutte le paure che avevi prima di cena sono scomparse e gia' ora navighi questo mare aperto e generoso?
Insieme a noi ci sono mille vite: G. e' in ospedale pregando che nessuna piccola anima venga dimenticata dalla terra in questa notte. E M. sta pensando che ieri sera un amico un po' stronzo l'ha preso per i capelli e gli ha detto che ora e' il momento di dare tutto senza guardarsi indietro mai. Forse ha ragione. Assieme a loro altre vite si muovono sulle strade rischiando del loro, mettendosi in gioco. Piccole emozioni in scatole di latta illuminate: le puoi vedere e non puoi fermare questo. E' l'amore che muove i padri verso casa, i fidanzati sotto i portoni, le famiglie in vacanza.
Come un fiume in piena accadono mille cose eccezionali. Ci siamo anche noi dentro e non sembra poi cosi' difficile potere pensare che le nostre vite siano distanti ma si somiglino lo stesso. Non ci apparteniamo neanche. Sarebbe cosi' crudele. Non c'e' gelosia in un amore cosi'.
Sembrava tutto cosi' difficile ma non lo e' piu'.
A cento chilometri di distanza stai tu, cara amica.
Speri che dalla porta entri il tuo nuovo motivo per continuare a sognare.
Una sera fredda e un po' di vino potrebbero regalarti un caldo abbraccio davanti ad un film giusto, con una persona giusta.
Non mi sembrano le nostre strade poi cosi' distanti.
E' vivere alla goccia, sempre.
Io, tra i miei mucchi di carta, le penne che non funzionano, i souvenir di ospiti lontani, tazze sporche e profumo di caffe' riempio le pagine con qualcosa che dice un po' di me. E cerco di spiegare che il mio mondo ha diritto di esistere, con le corde che collegano le molecole al loro destino di immutabiita' perfetta. E le superfici morbide che queste percorrono spiegano un piccolo frammento del segreto immenso della natura. Parte di quello che e' piu' importante lo sappiamo da sempre ma non ci sono parole per spiegarlo. Cerco nel mio piccolo di dare questo a chi incontro. Cerco di creare una rete di persone amiche che si fidino di me e che credono nelle stesse cose che credo io. L'eccezionalita' di scoprire come la natura ha imparato e ci ha plasmato e' un miracolo che costa fatica ma che vale la pena. Anche se mille cose non vanno, mille tentativi falliscono, tutto questo ci lega di piu'. Qui e ora io vivo questo fino all'ultima goccia di forza.
E' possibile che ora tu abbia finito di lavare i piatti di una cena semplice ma curata, sistemi la cucina e ti asciughi le mani. Il film e' gia' quasi iniziato ma vai a chiudere la finestra perche' quella brezza che arriva da ovest entra in casa e ferisce quasi questa perfezione. Arriva da qui, da dove sono io che ti penso e ti sorrido. Ti siedi sul divano e ti lasci incoraggiare. Apri il tuo cuore, le ultime luci del giorno scompaiono. Spegni la luce e preferisci quella calda di un vecchio abat-jour.
Ora guardi lui intensamente senza che si accorga: potrebbe essere l'inizio di una pagina nuova, pensi. Speri che non dica nulla ancora per qualche minuto e si accorga che e' tutto perfetto e potrebbe diventare anche suo.
Decidi di lasciarti un po' di piu' e il tuo fianco poggia ora sul suo corpo e ne senti il calore. Un buon inizio. Speriamo solo l'inizio.
Sembra tutto cosi' difficile prima di essere dentro le cose, ma la mia ricerca di qualcosa dentro di me e fuori di me sulla carta,tra questi tasti una volta che sono qui e' una specie di ondata irrefrenabile, dolce e gentile che mi porta dentro la notte. E cosi' forse per te? Tutte le paure che avevi prima di cena sono scomparse e gia' ora navighi questo mare aperto e generoso?
Insieme a noi ci sono mille vite: G. e' in ospedale pregando che nessuna piccola anima venga dimenticata dalla terra in questa notte. E M. sta pensando che ieri sera un amico un po' stronzo l'ha preso per i capelli e gli ha detto che ora e' il momento di dare tutto senza guardarsi indietro mai. Forse ha ragione. Assieme a loro altre vite si muovono sulle strade rischiando del loro, mettendosi in gioco. Piccole emozioni in scatole di latta illuminate: le puoi vedere e non puoi fermare questo. E' l'amore che muove i padri verso casa, i fidanzati sotto i portoni, le famiglie in vacanza.
Come un fiume in piena accadono mille cose eccezionali. Ci siamo anche noi dentro e non sembra poi cosi' difficile potere pensare che le nostre vite siano distanti ma si somiglino lo stesso. Non ci apparteniamo neanche. Sarebbe cosi' crudele. Non c'e' gelosia in un amore cosi'.
Sembrava tutto cosi' difficile ma non lo e' piu'.
mercoledì 8 agosto 2007
Incisione
Tagliare lungo la cicatrice piu’ dura.
Incidere a fondo con la lama affilata di un coltello sporco di anni.
E aspettare quei secondi fino alla macchia piu calda del sangue.
Non l’avresti mai detto, vero?
Siamo ancora dentro questa ferita che e’ stata gia’ curata e martoriata piu’ volte.
Tirare i lembi della pelle, e sentire che brucia. Non c’e’ nessuna altra soluzione.
Lascio che il dolore mi controlli e sfinisca, il destino ha voluto essere invadente questa volta e non ci ha lasciato altra via di scampo che questo foglio bianco in cui scrivere e questi coltelli per insegnarci che non si fugge da se’. Voglio essere io stesso ad usarli contro di me per capire se l’istinto di conservazione e’ piu’ forte della volonta’.
Ora fa freddo e non vedo piu’ bene i contorni delle cose, perdo il controllo e ho paura. No, non ora. Non so se mi stringi cosa succede, cosa cambia. Non so se questo caldo abbraccio e’ il filo di sutura per questa ferita che mi sono provocato e che sporca anche te. Non lo volevo, veramente. E’ una ingiustizia trascinarti a forza in questo sopruso ed esigere che sia tu a salvarmi. Tu non hai colpe. E’ stato il tempo a raffinare le sue tecniche contro la solitudine e a germinare questo nodo duro e doloroso sotto la pelle. Ora se puoi aiutami, non avere pieta’ ma affonda e scava. Sotto il muscolo, attraverso le ossa, spezza i tendini. Gira il polso verso l’interno, afferra il ferro a pieno palmo e spingi in basso facendo leva sull’osso. Senza cura ed attenzione. Il dolore e’ solo uno spasmo che si rilascia in una vampa di sudore e recupero il fiato per un attimo. La lama cosi’ lacera la pelle e porta fuori tutto questo. Vedi : e’ cosi facile. Il mio piccolo figlio del dolore non e’ sporco di sangue. Non ha colore. E’ perfetto e fragile. L’ho coltivato cosi’ perche’ fosse insopportabile e la sua presenza mi ricordasse qualcosa di te, forse. Ancora piu’ di me, di quello che e’ aspettare la liberta’ tra le quattro mura di una camera e sentire le urla fuori. Di quello che e’ la vana ricerca di un po’ di poesia nel metro a gennaio. Con i guanti a mezzo dito per stare al caldo ma potere accarezzare il metallo freddo dove passa tanta vita. Con le unghie e con i denti attaccarsi alla speranza dimenticando la realta’ per lunghi inverni e lunghe estati.
Ora avrei voglia di festa. E di ballare tutta la notte senza pensare al sangue versato. E guardare i volti degli amici piu’ cari illuminati dalla luce del fuoco. Le voci intorno che non capisco mi avvolgono. Ho vissuto quel calore. Lo so. Mi sentivo leggero.
Si, il sangue necessario che ci da la vita ci ha preso tutto. In se’ c’e’ un rosso che sconcerta e spaventa ma che trascina con se oggetti, ricordi, alberi, montagne. Non si ferma mai e spinge sulle nostre resistenze, sulla morale presa in prestito. Sembra lavare via le uniche riserve di speranza di condurre una vita cosi’ come e’ ora: semplice.
Cerchero’ di resistere ancora un poco. Ancora il giusto per vedere se dietro i tuoi occhi imprigionati hai abbandonato tutto anche tu e hai deciso di impugnare il coltello verso te stessa.
Incidere a fondo con la lama affilata di un coltello sporco di anni.
E aspettare quei secondi fino alla macchia piu calda del sangue.
Non l’avresti mai detto, vero?
Siamo ancora dentro questa ferita che e’ stata gia’ curata e martoriata piu’ volte.
Tirare i lembi della pelle, e sentire che brucia. Non c’e’ nessuna altra soluzione.
Lascio che il dolore mi controlli e sfinisca, il destino ha voluto essere invadente questa volta e non ci ha lasciato altra via di scampo che questo foglio bianco in cui scrivere e questi coltelli per insegnarci che non si fugge da se’. Voglio essere io stesso ad usarli contro di me per capire se l’istinto di conservazione e’ piu’ forte della volonta’.
Ora fa freddo e non vedo piu’ bene i contorni delle cose, perdo il controllo e ho paura. No, non ora. Non so se mi stringi cosa succede, cosa cambia. Non so se questo caldo abbraccio e’ il filo di sutura per questa ferita che mi sono provocato e che sporca anche te. Non lo volevo, veramente. E’ una ingiustizia trascinarti a forza in questo sopruso ed esigere che sia tu a salvarmi. Tu non hai colpe. E’ stato il tempo a raffinare le sue tecniche contro la solitudine e a germinare questo nodo duro e doloroso sotto la pelle. Ora se puoi aiutami, non avere pieta’ ma affonda e scava. Sotto il muscolo, attraverso le ossa, spezza i tendini. Gira il polso verso l’interno, afferra il ferro a pieno palmo e spingi in basso facendo leva sull’osso. Senza cura ed attenzione. Il dolore e’ solo uno spasmo che si rilascia in una vampa di sudore e recupero il fiato per un attimo. La lama cosi’ lacera la pelle e porta fuori tutto questo. Vedi : e’ cosi facile. Il mio piccolo figlio del dolore non e’ sporco di sangue. Non ha colore. E’ perfetto e fragile. L’ho coltivato cosi’ perche’ fosse insopportabile e la sua presenza mi ricordasse qualcosa di te, forse. Ancora piu’ di me, di quello che e’ aspettare la liberta’ tra le quattro mura di una camera e sentire le urla fuori. Di quello che e’ la vana ricerca di un po’ di poesia nel metro a gennaio. Con i guanti a mezzo dito per stare al caldo ma potere accarezzare il metallo freddo dove passa tanta vita. Con le unghie e con i denti attaccarsi alla speranza dimenticando la realta’ per lunghi inverni e lunghe estati.
Ora avrei voglia di festa. E di ballare tutta la notte senza pensare al sangue versato. E guardare i volti degli amici piu’ cari illuminati dalla luce del fuoco. Le voci intorno che non capisco mi avvolgono. Ho vissuto quel calore. Lo so. Mi sentivo leggero.
Si, il sangue necessario che ci da la vita ci ha preso tutto. In se’ c’e’ un rosso che sconcerta e spaventa ma che trascina con se oggetti, ricordi, alberi, montagne. Non si ferma mai e spinge sulle nostre resistenze, sulla morale presa in prestito. Sembra lavare via le uniche riserve di speranza di condurre una vita cosi’ come e’ ora: semplice.
Cerchero’ di resistere ancora un poco. Ancora il giusto per vedere se dietro i tuoi occhi imprigionati hai abbandonato tutto anche tu e hai deciso di impugnare il coltello verso te stessa.
venerdì 3 agosto 2007
Il profumo del pane
Mi ricordo mio nonno quando già in pensione faceva il pane. Lo faceva solo per me dopo avere speso 50 e passa anni a farlo per sbarcare il lunario asoggettandosi ad orari impossibili. Preparava una piccola quantita’ di pasta e con le sue mani pigre e rugose formava dei piccoli cornetti perfetti, arrotolando i bianchi fogli lievitati. Ne piegava le estremita’ facendoli sembrare dei veri piccoli corassaint. Spalmava del bianco d’uovo e li infornava.
Nel forno crescevano e si imbrunivano profumando le stanze e quelle piccole forme diventavano dei piccoli capolavori di arte che quasi faceva paura mangiarli.
Sono anche le vite delle persone cosi’? La forma originaria che ci siamo dati e’ veramente importante? E’ questa a dare il senso del ritorno, di casa? Sono ancora io, quello del liceo? bipolare romantico complessato 10 anni dopo? Non so, penserei di no. Mi sono sentito piu’ volte cresciuto di piu’ conoscendo gente nuova che portava nuovo oro nella mia esistenza ma ora che mi riguardo indietro rivedo me. Identico. La stessa forma ma con tutto l’aroma di avere imparato a conoscersi, rispettarsi e prendere cio’ che di buono c’e’ dentro e fuori me. Punto e basta. E tu, sei ancora li’? Sento che c’e’ qualcosa che e’ rimasto: la nostra forma originale. Il modo di guardare le cose, quel modo cosi’ profondo e doloroso, una sensibilita’ tagliente del fatto che niente torna piu’ e ogni giorno ha un sapore piu’ amaro. Bastera’ sapere questo per riuscire ad evitare di ricercarsi? Non e’ mai vero che chi assomiglia si piglia. Il destino della vita delle persone e’ molto piu’ somigliante ad un veleno e per noi cosi’ chi ti accompagna nel cammino l’ antidoto all’impossibilita’ di vivere.
Vedi, ora la mia vita e’ cosi’. Vivo con una persona dolce, che mi trasporta attraverso i giorni facendomi sentire il centro di qualcosa di vero. Ed e’ vero, vivo bene, vivo meglio. Lei mi rispetta e mi spinge a volare piu’ in alto non facendomi mai cadere e sembra che sia felice vedendoci volare insieme. La amo per questo.
Con te e’ diverso. E sarebbe tutto piu’ profondo ma doloroso. Nessuno si e’ mai aspettato, nessuno si e’ mai promesso il ritorno ma ora, ognuno nelle rispettive vite separate e distorte siamo come i binari di una ferrovia. Storti ma paralleli, senza piu’ la speranza di un incontro.
Per anni ho passato a cercarti tra la gente per cercare di sapere se ci saremmo mai reincrociati. Mi sono girato molte volte di scatto sul treno o sul metro’ perche’ sentivo il tuo profumo, sempre il tuo profumo come se fosse quella ultima notte, come se fosse quella maledetta estate. Qualcuno me l’aveva detto che se qualcosa di una donna mi avrebbe saputo ammazzare sarebbe stato il profumo. Era vero. Quella sera quando ci siamo rivisti avevo esattamente paura di ritrovare quell’identico profumo che mi avrebbe fatto precipitare fuori dalla mia vita. Sto tenendo duro. Cerco in te e dentro di me per non farmi perdere tutto. Li’ c’e’ la risposta che fa male. C’e’ il rischio di perdere quello che ho costruito per un abbaglio. Vorrei che non mi cercassi piu’: vorrei che tu non rispondessi piu’ come fai per continuare a pensare che tutto sia un angolo sporco della mia vita slegato da te. E questo angolo sta crescendo a dismisura. La persona che vive con me non merita questo perche’ e’ leale e il nostro rapporto cosi’ stabile e sereno e’ ovviamente logorato dalla quotidianita’ che ci chiede cosi’ tanto. E ogni giorno toglie a noi un po’ di noi. Questo fa parte del pacco: lo sapevo. E la voglia di uscire da questo e’ forse anche la paura di diventare adulti, di fare quelle scelte che non ti portano piu’ indietro.
Ma e’ inutile. Provo ancora affetto per te e sento che tu non hai trovato ancora l’antidoto dolce alla tua vita. E penso che non guardi giu’ dalle montagne mai ma guardi su come me, cercando piu’ il cielo della terra. Solo li’ ti senti libera di essere qualcosa che non riesci a raccontare a chi ti sta intorno. E ami sentire il sudore asciutto sulla pelle rinfrescata dal vento quando arrivi in cima ad un monte, e il sapore salato sulle labbra. Gli occhi quasi bruciano dal bagliore o forse dalla sete di tutto quello. Respiri di piu’, respiri solo allora. E il confine tra fuori e dentro perde definizione. E’ come se fossi li’ da sempre e ti senti viva, come se avessi di nuovo imparato a camminare di nuovo. Come se fossi l’unica ad avere capito cosa veramente conta. Se e’ cosi i nostri binari sono ancora paralleli.
Nel forno crescevano e si imbrunivano profumando le stanze e quelle piccole forme diventavano dei piccoli capolavori di arte che quasi faceva paura mangiarli.
Sono anche le vite delle persone cosi’? La forma originaria che ci siamo dati e’ veramente importante? E’ questa a dare il senso del ritorno, di casa? Sono ancora io, quello del liceo? bipolare romantico complessato 10 anni dopo? Non so, penserei di no. Mi sono sentito piu’ volte cresciuto di piu’ conoscendo gente nuova che portava nuovo oro nella mia esistenza ma ora che mi riguardo indietro rivedo me. Identico. La stessa forma ma con tutto l’aroma di avere imparato a conoscersi, rispettarsi e prendere cio’ che di buono c’e’ dentro e fuori me. Punto e basta. E tu, sei ancora li’? Sento che c’e’ qualcosa che e’ rimasto: la nostra forma originale. Il modo di guardare le cose, quel modo cosi’ profondo e doloroso, una sensibilita’ tagliente del fatto che niente torna piu’ e ogni giorno ha un sapore piu’ amaro. Bastera’ sapere questo per riuscire ad evitare di ricercarsi? Non e’ mai vero che chi assomiglia si piglia. Il destino della vita delle persone e’ molto piu’ somigliante ad un veleno e per noi cosi’ chi ti accompagna nel cammino l’ antidoto all’impossibilita’ di vivere.
Vedi, ora la mia vita e’ cosi’. Vivo con una persona dolce, che mi trasporta attraverso i giorni facendomi sentire il centro di qualcosa di vero. Ed e’ vero, vivo bene, vivo meglio. Lei mi rispetta e mi spinge a volare piu’ in alto non facendomi mai cadere e sembra che sia felice vedendoci volare insieme. La amo per questo.
Con te e’ diverso. E sarebbe tutto piu’ profondo ma doloroso. Nessuno si e’ mai aspettato, nessuno si e’ mai promesso il ritorno ma ora, ognuno nelle rispettive vite separate e distorte siamo come i binari di una ferrovia. Storti ma paralleli, senza piu’ la speranza di un incontro.
Per anni ho passato a cercarti tra la gente per cercare di sapere se ci saremmo mai reincrociati. Mi sono girato molte volte di scatto sul treno o sul metro’ perche’ sentivo il tuo profumo, sempre il tuo profumo come se fosse quella ultima notte, come se fosse quella maledetta estate. Qualcuno me l’aveva detto che se qualcosa di una donna mi avrebbe saputo ammazzare sarebbe stato il profumo. Era vero. Quella sera quando ci siamo rivisti avevo esattamente paura di ritrovare quell’identico profumo che mi avrebbe fatto precipitare fuori dalla mia vita. Sto tenendo duro. Cerco in te e dentro di me per non farmi perdere tutto. Li’ c’e’ la risposta che fa male. C’e’ il rischio di perdere quello che ho costruito per un abbaglio. Vorrei che non mi cercassi piu’: vorrei che tu non rispondessi piu’ come fai per continuare a pensare che tutto sia un angolo sporco della mia vita slegato da te. E questo angolo sta crescendo a dismisura. La persona che vive con me non merita questo perche’ e’ leale e il nostro rapporto cosi’ stabile e sereno e’ ovviamente logorato dalla quotidianita’ che ci chiede cosi’ tanto. E ogni giorno toglie a noi un po’ di noi. Questo fa parte del pacco: lo sapevo. E la voglia di uscire da questo e’ forse anche la paura di diventare adulti, di fare quelle scelte che non ti portano piu’ indietro.
Ma e’ inutile. Provo ancora affetto per te e sento che tu non hai trovato ancora l’antidoto dolce alla tua vita. E penso che non guardi giu’ dalle montagne mai ma guardi su come me, cercando piu’ il cielo della terra. Solo li’ ti senti libera di essere qualcosa che non riesci a raccontare a chi ti sta intorno. E ami sentire il sudore asciutto sulla pelle rinfrescata dal vento quando arrivi in cima ad un monte, e il sapore salato sulle labbra. Gli occhi quasi bruciano dal bagliore o forse dalla sete di tutto quello. Respiri di piu’, respiri solo allora. E il confine tra fuori e dentro perde definizione. E’ come se fossi li’ da sempre e ti senti viva, come se avessi di nuovo imparato a camminare di nuovo. Come se fossi l’unica ad avere capito cosa veramente conta. Se e’ cosi i nostri binari sono ancora paralleli.
martedì 24 luglio 2007
Zio Nando
E’ uno dei miei primi ricordi della mia vita.
Io giocavo nel cortile della casa in motagna di fianco alla sua 132 mirafiori carta da zucchero, stretto tra la portiera e la parte rimanente della ghiaia vicino alla siepe. Mia zia all’uscio della casa, giusto due gradini sopra di me. Voci di una famiglia numerosa. Mio cugino con cui mi ciucciavo il dito davanti alla tele, i mille cugini che affollavano la casa e la trasformavano in un ritrovo, crocevia di vite che nascevano e partivano. Cosi’ diversa dalla mia piccola famiglia, io ero il parente alla lontana figlio della zia che veniva in vacanza nello stesso posto.
Sono passati lunghi inverni in cui la casa della montagna e’ rimasta desolata e imprigionata dal freddo. Nando e Miranda sono invecchiati mentre crescevo velocemente. I tratti piu’ marcati e le ossa contratte sembravano resistere pero’ al tempo e lo stesso per la cintura da cowboy di Nando in cui era annegato uno scorpione, prodigio spaventoso. Qualcosa sembrava suggerire che alcune cose di queste non sarebbero cambiate mai. E invece non e’ stato cosi’. Io mi sono ingozzato di egoismo e ho vissuto la mia vita quasi certo che il ritorno sarebbe sempre stato possibile. Nel cortile, tra la 132 e la siepe.
I tempi bui pero’ arrivarono e una malattia lenta e vigliacca si porto’ via Miranda, rendendola un cumulo di ossa e pelle dagli occhi vitrei per lunghi anni, dividendo e fiaccando la numerosa famiglia che abitava la casa estiva.
Nando pero’ resistette per qualche periodo. Era stato un padre forse assente ma carismatico. Di lui ancora qualcuno ricorda quando per sfida sparo’ con un fucile ad un tacchino mirandolo da dentro il ristorante durante una battuta di caccia in Bulgaria. Per mio nonno era quasi divertente fare leva sulla sua semplice voglia di dimostrare per spingerlo a strafare. Forse pero’ non fu mai veramente forte o cosi’ debole come questa mattina.
Miranda era morta, e con lei 50 anni di insulti, incomprensioni fatiche ma pur sempre vita vissuta e per questo degna. Il corpo non era piu’ quello adatto al suo cinturone, il passo era diventato corto ma non abbastanza da non permettergli di raggiungere l’armadietto delle armi. Fine della battuta di caccia. L’ultimo colpo non sarebbe stato per una bestia.
La nuora che lo accudiva rientrando si era subito insospettita perche’ il gatto miagolava a squarciagola. La camera era un bagno di sangue, sul soffitto un buco come un pugno e Nando sdraiato sul letto col fucile in bocca. Cranio e cervello per terra, sul muro, ovunque.
Per terra anche una colt e due proiettili. Aveva provato anche con quella ma non era forse riuscito a mettere i proiettili nel caricatore. Il fucile di caccia con i pallettoni buoni per ammazzare i cinghiali sarebbe andato bene comunque. Bum.
Cosa spinge le persone come mia madre che si lamentano per una unghia incarnita a chinarsi di fianco a quel letto, prendere lo straccio per raccogliere il sangue e i resti in un secchio senza dire una parola nessuno lo sa. Quale e’ il segreto dell’amore dietro questo? Come se fosse un gesto gia’ fatto, un racconto gia’ scritto, un istinto di attingere all’angoscia come insegnamento. Perche’ il dolore provocato cosi’ ha qualche cosa di indicibile che lo rende prezioso e straziante al tempo stesso? Non c’e’ vita dietro una morte cosi’. Non c’e’ serenita’ ne la speranza di un viaggio per chi rimane. E’ la possibilita’ che tutto vada perso dopo una vita di sacrifici e che non rimanga piu’ nessun motivo per rendere la vita degna di essere vissuta nel momento esatto in cui pensi di dovere meritare tutto.
Alzati madre dai piedi di questo letto. Odio vederti smettere di credere alla nostra vita.
Io giocavo nel cortile della casa in motagna di fianco alla sua 132 mirafiori carta da zucchero, stretto tra la portiera e la parte rimanente della ghiaia vicino alla siepe. Mia zia all’uscio della casa, giusto due gradini sopra di me. Voci di una famiglia numerosa. Mio cugino con cui mi ciucciavo il dito davanti alla tele, i mille cugini che affollavano la casa e la trasformavano in un ritrovo, crocevia di vite che nascevano e partivano. Cosi’ diversa dalla mia piccola famiglia, io ero il parente alla lontana figlio della zia che veniva in vacanza nello stesso posto.
Sono passati lunghi inverni in cui la casa della montagna e’ rimasta desolata e imprigionata dal freddo. Nando e Miranda sono invecchiati mentre crescevo velocemente. I tratti piu’ marcati e le ossa contratte sembravano resistere pero’ al tempo e lo stesso per la cintura da cowboy di Nando in cui era annegato uno scorpione, prodigio spaventoso. Qualcosa sembrava suggerire che alcune cose di queste non sarebbero cambiate mai. E invece non e’ stato cosi’. Io mi sono ingozzato di egoismo e ho vissuto la mia vita quasi certo che il ritorno sarebbe sempre stato possibile. Nel cortile, tra la 132 e la siepe.
I tempi bui pero’ arrivarono e una malattia lenta e vigliacca si porto’ via Miranda, rendendola un cumulo di ossa e pelle dagli occhi vitrei per lunghi anni, dividendo e fiaccando la numerosa famiglia che abitava la casa estiva.
Nando pero’ resistette per qualche periodo. Era stato un padre forse assente ma carismatico. Di lui ancora qualcuno ricorda quando per sfida sparo’ con un fucile ad un tacchino mirandolo da dentro il ristorante durante una battuta di caccia in Bulgaria. Per mio nonno era quasi divertente fare leva sulla sua semplice voglia di dimostrare per spingerlo a strafare. Forse pero’ non fu mai veramente forte o cosi’ debole come questa mattina.
Miranda era morta, e con lei 50 anni di insulti, incomprensioni fatiche ma pur sempre vita vissuta e per questo degna. Il corpo non era piu’ quello adatto al suo cinturone, il passo era diventato corto ma non abbastanza da non permettergli di raggiungere l’armadietto delle armi. Fine della battuta di caccia. L’ultimo colpo non sarebbe stato per una bestia.
La nuora che lo accudiva rientrando si era subito insospettita perche’ il gatto miagolava a squarciagola. La camera era un bagno di sangue, sul soffitto un buco come un pugno e Nando sdraiato sul letto col fucile in bocca. Cranio e cervello per terra, sul muro, ovunque.
Per terra anche una colt e due proiettili. Aveva provato anche con quella ma non era forse riuscito a mettere i proiettili nel caricatore. Il fucile di caccia con i pallettoni buoni per ammazzare i cinghiali sarebbe andato bene comunque. Bum.
Cosa spinge le persone come mia madre che si lamentano per una unghia incarnita a chinarsi di fianco a quel letto, prendere lo straccio per raccogliere il sangue e i resti in un secchio senza dire una parola nessuno lo sa. Quale e’ il segreto dell’amore dietro questo? Come se fosse un gesto gia’ fatto, un racconto gia’ scritto, un istinto di attingere all’angoscia come insegnamento. Perche’ il dolore provocato cosi’ ha qualche cosa di indicibile che lo rende prezioso e straziante al tempo stesso? Non c’e’ vita dietro una morte cosi’. Non c’e’ serenita’ ne la speranza di un viaggio per chi rimane. E’ la possibilita’ che tutto vada perso dopo una vita di sacrifici e che non rimanga piu’ nessun motivo per rendere la vita degna di essere vissuta nel momento esatto in cui pensi di dovere meritare tutto.
Alzati madre dai piedi di questo letto. Odio vederti smettere di credere alla nostra vita.
lunedì 23 luglio 2007
mai cosi' vivo
Non mi sono mai sentito cosi' vivo.
Il vento sulla pelle.
Il respiro lento e regolare.
L'aria fresca della sera e un lieve sentore di terra umida,calda.
Le mani sudate, quasi incartapecorite dal sudore.
Intorno a me un paesaggio immenso, una vallata
sconfinata che da Lugano lascia intravedere l'Italia.
Appaiono le prime luci della sera nella citta' ma quasi nessuno sulla strada.
Un senso di calmo possesso del mio corpo, delle mie sensazioni in un fluire naturale.
L'aria si fa piu' buona e la fatica della giornata si perde nell'immenso.
Le labbra sono secche dalla sete di un nuovo respiro che mi purifichi e che mi tolga l'amaro dalla bocca.
Piego nel bosco e trovo un riparo dolce e privato. Il rumore delle foglie sotto i piedi. Il mio corpo si sente chiamato a
dare di piu', a correre di piu' come un animale. Lo faccio e lascio fluire tutto questo.
Sono le otto. Tutti sono a casa e io solo sono padrone di tutto questo.
Il mio privatissimo universo. Miles Davis suona per me e cancella ogni crepa dalla realta'. Mi regala un frammento di naturale perfezione.
Arrivo in cima e sono allibito,
mi abbandono e mi lascio sopraffare.
L'aria mi fa respirare di piu'. Ogni sorso e' piu' buono.
E' il caldo abbraccio della sera.
Non dimentichero' mai questo squarcio di perfezione.
Era da tanto che non mi sentivo cosi' vivo.
infinito ed infinitesimo
Cosi’ sono ancora una volta alla ricerca di quegli occhi.
Mi hanno tolto il sonno. Lo fanno ancora. Ora.
Prendo cosi’ un mazzo di foto dopo anni e guardo intensamente quegli occhi per scoprire se e’ quella la sorgente di tutto questo dolore. Se e’ li la risposta che attendevo.
Li dietro c’e’ qualcosa che mi aspetta, che chiama, urla.
Devo sapere perche’ mi affligge la sensazione di avere vissuto una vita in attesa di questo momento, senza mai avere avuto il coraggio di provocarlo. Ora mi si serve la possibilita’ di capire e forse di slegarmi da tutto questo.
Perche’ ancora mi sveglio la notte sognando che quegli occhi sono li ma non mi rispondono, che posseggono una conoscenza di qualcosa che io desidero ma che mi e’ proibito condividere? E che sempre mi sorprendono perche’ sono come i miei occhi. Sono il mio sguardo piu’ triste e profondo sul mondo. Sono la materializzazione della mia inadeguatezza alla vita. Per anni ho combatuto per schiacciarla in un angolo e farne la parte buia di me col quale convivere ma ora non posso piu’ contenere tutto cio’. Ho cercato di farmi una vita normale, di amare e venire amato, di essere leale per ricevere lealta’. Ho cambiato i miei rapporti per capire di piu’ le persone e farmi capire da meno persone, piu’ profondamente. Ero convinto di stare perseguendo una vita degna e costruttiva, fatta di rapporti saldi e sinceri con un briciolo di egoismo per prevenire il dolore di non essere accettato e tutto e’ funzionato alla meraviglia. Tranne per quel piccolo particolare di quei sogni durante la notte. Come una presenza quegli occhi mi sembravano voler ricordare che non si sfugge da se’ stessi e che l’essenza stessa della persona cannibalizza ogni tentativo di cambiamento per riportare la vita sempre al suo stadio primordiale.
E’ forse per questo che la vita vale di essere vissuta: per i suoi continui alti e bassi, per le sue spinte a voler cercare la felicita’ e la verita’ al tempo stesso. Entrambe le cose non esistono o non possono essere raggiunte insieme, sono l’infinito e l’infinitesimo.
Mi hanno tolto il sonno. Lo fanno ancora. Ora.
Prendo cosi’ un mazzo di foto dopo anni e guardo intensamente quegli occhi per scoprire se e’ quella la sorgente di tutto questo dolore. Se e’ li la risposta che attendevo.
Li dietro c’e’ qualcosa che mi aspetta, che chiama, urla.
Devo sapere perche’ mi affligge la sensazione di avere vissuto una vita in attesa di questo momento, senza mai avere avuto il coraggio di provocarlo. Ora mi si serve la possibilita’ di capire e forse di slegarmi da tutto questo.
Perche’ ancora mi sveglio la notte sognando che quegli occhi sono li ma non mi rispondono, che posseggono una conoscenza di qualcosa che io desidero ma che mi e’ proibito condividere? E che sempre mi sorprendono perche’ sono come i miei occhi. Sono il mio sguardo piu’ triste e profondo sul mondo. Sono la materializzazione della mia inadeguatezza alla vita. Per anni ho combatuto per schiacciarla in un angolo e farne la parte buia di me col quale convivere ma ora non posso piu’ contenere tutto cio’. Ho cercato di farmi una vita normale, di amare e venire amato, di essere leale per ricevere lealta’. Ho cambiato i miei rapporti per capire di piu’ le persone e farmi capire da meno persone, piu’ profondamente. Ero convinto di stare perseguendo una vita degna e costruttiva, fatta di rapporti saldi e sinceri con un briciolo di egoismo per prevenire il dolore di non essere accettato e tutto e’ funzionato alla meraviglia. Tranne per quel piccolo particolare di quei sogni durante la notte. Come una presenza quegli occhi mi sembravano voler ricordare che non si sfugge da se’ stessi e che l’essenza stessa della persona cannibalizza ogni tentativo di cambiamento per riportare la vita sempre al suo stadio primordiale.
E’ forse per questo che la vita vale di essere vissuta: per i suoi continui alti e bassi, per le sue spinte a voler cercare la felicita’ e la verita’ al tempo stesso. Entrambe le cose non esistono o non possono essere raggiunte insieme, sono l’infinito e l’infinitesimo.
venerdì 20 luglio 2007
So what
Era l'inizio di una lunga estate calda. Il calore era cosi feroce che sbiadiva i contorni delle nuvole in lontananza e la strada era lunghissima. La ruota anteriore della bici girava e macinava i chilometri che separavano la casa dei miei genitori dal mio luogo di lavoro ogni giorno per un mese. Era un lavoro frustrante di inserimento dati in una grande azienda. Ma era perlomeno qualcosa. Un po' poco per un laureato, pensavo. Il tutto si riduceva a prendere il foglietto, leggere il foglietto, inserire i campi necessari nel database. Questo da ripetersi per qualche centinaia da volte al giorno. Si', un po' poco per un laureato. Mi lamentavo eccome. Mi lamentavo al mattino prima di andare, mi lamentavo alla sera quando tornavo. Ero francamente insopportabile.
Una sola cosa era positiva.
Kind of Blue di Miles Davis.
Lo comprai perchè un amico di mio padre me l'aveva suggerito e mio padre aveva fatto una faccia di approvazione del tipo "non ti puoi assolutamente rifiutare di prenderlo".
Bene.
E dacci 10 euro alla fnac.
Io, che sono anche contro le multinazionali.
Beh, la copertina e' bella, lo ammetto.
Non sapevo la cosa piu' importante: quel disco conteneva il soprannaturale.
Comincio' cosi ad accompagnarmi avanti e indietro da quel lavoro infame e a regalarmi il modo giusto di vivere quel momento.
Negli assoli di Miles c'e' qualcosa che ti dice che non importa quello che il mondo pensa.
E' il tuo modo di vedere il mondo che cambia il mondo.
Pura verita'.
Dentro la voce di una tromba c'e' qualcosa di cosi' umano e sacro.
E' un pensiero intimo che non trova parole. E che diventa musica per potere
fuggire dalle parole stesse e arrivare dritto alla pelle.
Oppure per contrarsi in un caldo sentimento privato.
Nel mondo di Miles non c'e' il mondo.
C'e' l'anima.
C'e' un tempo dilatato che non e' necessario rispettare.
Come nascano queste emozioni nessuno lo sa. Ma la fortuna di avere avuto questo patrimonio in un momento cosi' mi ha insegnato molto.
E' l'eccezionalita' dell'essere e l'obbligo dell'egoismo di manifestare l'essere stesso e la sua pura bellezza.
So What!
Una sola cosa era positiva.
Kind of Blue di Miles Davis.
Lo comprai perchè un amico di mio padre me l'aveva suggerito e mio padre aveva fatto una faccia di approvazione del tipo "non ti puoi assolutamente rifiutare di prenderlo".
Bene.
E dacci 10 euro alla fnac.
Io, che sono anche contro le multinazionali.
Beh, la copertina e' bella, lo ammetto.
Non sapevo la cosa piu' importante: quel disco conteneva il soprannaturale.
Comincio' cosi ad accompagnarmi avanti e indietro da quel lavoro infame e a regalarmi il modo giusto di vivere quel momento.
Negli assoli di Miles c'e' qualcosa che ti dice che non importa quello che il mondo pensa.
E' il tuo modo di vedere il mondo che cambia il mondo.
Pura verita'.
Dentro la voce di una tromba c'e' qualcosa di cosi' umano e sacro.
E' un pensiero intimo che non trova parole. E che diventa musica per potere
fuggire dalle parole stesse e arrivare dritto alla pelle.
Oppure per contrarsi in un caldo sentimento privato.
Nel mondo di Miles non c'e' il mondo.
C'e' l'anima.
C'e' un tempo dilatato che non e' necessario rispettare.
Come nascano queste emozioni nessuno lo sa. Ma la fortuna di avere avuto questo patrimonio in un momento cosi' mi ha insegnato molto.
E' l'eccezionalita' dell'essere e l'obbligo dell'egoismo di manifestare l'essere stesso e la sua pura bellezza.
So What!
come cominciare
Mi sveglio ancora di notte.
A pensare cosa sarebbe stato se.
E ho tutto ma cerco sempre qualcosa.
Tutti sanno cosa cerco. E' quello che vogliono tutti: la felicità.
Nessuno sa come si ottiene. Io la cerco da anni.
Ero quasi ad un passo o almeno pensavo di esserci poi
ho cominciato ancora a svegliarmi di notte...
A pensare cosa sarebbe stato se.
E ho tutto ma cerco sempre qualcosa.
Tutti sanno cosa cerco. E' quello che vogliono tutti: la felicità.
Nessuno sa come si ottiene. Io la cerco da anni.
Ero quasi ad un passo o almeno pensavo di esserci poi
ho cominciato ancora a svegliarmi di notte...
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